Ha vinto la prima sfida, quella di riqualificare un angolo degradato di Firenze come la stazione SMN. Ne ha accettato una altrettanto difficile, garantire pasti caldi 24 ore al giorno. Nel frattempo Fratelli Cuore sta vincendo anche una terza prova, quella di offrire un carnet di prodotti – pasta, pizza, carni e dolci – all’altezza della ristorazione fiorentina di qualità
Finora ne avevamo raccontato il concept e annunciato l’apertura (qui), poi ne abbiamo svelato il backstage, spiegando come funziona un ristorante in funzione ventiquattr’ore al giorno (qui). Adesso finalmente è arrivato il momento di raccontarvi come si mangia da Fratelli Cuore, a Firenze, dentro (e fuori) la stazione ferroviaria di Santa Maria Novella. Si tratta del “regno” dello chef Daniele Pescatore e del ristoratore Pasquale Caprarella, i due artefici di questa scommessa che fino a qualche anno fa sarebbe stata inimmaginabile. E se i due hanno vinto la prima sfida – quella di riqualificare un angolo degradato di Firenze come la stazione SMN – e ne hanno accettato una altrettanto difficile, quella di garantire pasti caldi h24, adesso stanno giocando la partita forse più dura, quella di far breccia tra i gourmet fiorentini, il popolo della notte e quello dei viaggiatori. In altre parole, guadagnarsi un posto nella hall of fame della ristorazione offrendo un carnet di pietanze – pasta, pizza, carni e dolci – all’altezza.
Proprio per la versatilità del locale, che non ha un unico “cavallo di battaglia” ma presenta diverse frecce al proprio arco, abbiamo assaggiato le diverse sfumature del menù. Iniziamo dalla pizza napoletana, che abbiamo sentito sia nella versione della classica Margherita sia nella “Prosciutto & funghi”. C’è un motivo: non si tratta dei comuni champignons affettati e adagiati sulla pasta, ma di funghi tagliati a pezzi più grandi e passati con erbe aromatiche prima di arrivare in forno. La pasta della pizza è di farina 0, con pochissimo lievito, e la “prova dito” per saggiare la resilienza del cornicione viene facilmente superata. La degustiamo, così come la margherita, accompagnata da una bottiglia della linea artigianale di birra Moretti, la “piemontese”. Il bello delle pizze di Fratelli Cuore è che riesci a distinguerne e apprezzarne distintamente tutti i sapori, incluso l’olio extravergine d’oliva, e il fatto che le dimensioni non siano eccessivamente grandi – come si confà alla tradizione partenopea – rende facile arrivare fino in fondo.
Arriviamo ai primi: anche qui optiamo per un bis, i bucatini alla carbonara e i paccheri alla pommarola, memori di ciò che a suo tempo ci disse qualcuno quando Fratelli Cuore era ancora un progetto: riunire in un unico locale la tradizione napoletana della pizza, quella romana della pasta e quella fiorentina della carne. Scontato quindi che la scelta dei primi si muovesse lungo l’asse Roma-Napoli. Nel primo caso, la carbonara conta quattro ingredienti (pasta, uova, guanciale, formaggio) senza noce moscata, panna o altro. Eppure a vederla nel piatto, così cremosa, giureresti che qualche aggiunta di panna per amalgamare ci sia. Invece no. Sulla cottura della pasta, rimando al pezzo sul backstage laddove racconto della felice intuizione di tenere in barattoli la pasta pronta per essere condita. Una sola miglioria in vista, l’uso di pezzi più piccoli di guanciale.
In quanto ai paccheri, il segreto dello chef Daniele Pescatore è l’utilizzo di quattro diversi tipi di pomodoro – di cui però riconosco soltanto il San Marzano e il piennolo – per condire la pasta, che risulta così ben equilibrata nei sapori e nella consistenza: non abbiamo trovato un pacchero attaccato all’altro, ad esempio.
Passiamo ai secondi: dal menù scegliamo le costolette d’agnello in due versioni, accompagnate da patatine fritte e una particolare salsa, anch’essa frutto di un’intuizione dello chef. Non una salsa ranch o una salsa barbecue che scimmiotti quelle americane – e che probabilmente avrebbero coperto più di un sapore – ma una delicata, a base di pomodoro. Specie nella versione a “pianoforte” la carne è estremamente tenera, tale da poter essere comodamente mangiata in occasioni formali, senza cioè ricorrere alle mani quando coltello e forchetta non sono più sufficienti.
Infine, i dolci: si cade in piedi, dal momento che fornitore di Fratelli Cuore è Luca Mannori da Prato, uno dei migliori pasticceri del distretto laniero. Ogni giorno, in quest’angolo di città a due passi dai binari si consumano 35 pezzi della “SetteVeli”, la sua creazione più famosa e imitata. Molti di più di quanti se ne consumino quotidianamente nell’altro locale fiorentino che l’ha in carta, Eataly. Assaggiamo dunque la “SetteVeli” insieme alla “Marriage”. Eccellente il primo, dove ogni elemento è di altissimo pregio: la qualità del cioccolato, la sua consistenza, la texture complessiva del dolce e la temperatura di servizio; meno convincente il secondo, il cui nome richiama il matrimonio per la glassatura esterna rosa shocking: forse con un cuore bagnato al caffè l’avrei trovato più stimolante.
Lasciamo Fratelli Cuore con una consapevolezza: nonostante il menù abbia ancora qualche sorpresa da riservare – a partire dalla bistecca di chianina fino agli hamburger e le insalatone – il menù ha confermato che la mano di Daniele Pescatore in cucina e quella di Pasquale Caprarella in sala sono due garanzie. Lo stanno pian piano scoprendo i fiorentini, sia quelli di passaggio sia i primi habitué notturni. Come un tale quasi sulla sessantina – ci racconta Pasquale – che soffre d’insonnia e due/tre volte a settimana viene alle 4 di notte a farsi un piatto di pasta al pesto, prima di rincasare.