Nel mondo dell’enogastronomia fa sempre piacere quando l’abilità, l’ingegno e la ricerca riescono a smentire alcuni preconcetti. E’ accaduto, con grande soddisfazione, qualche giorno fa a Firenze. Al centro del dibattito – pardon, dell’evento – c’era la creazione di gelati particolari e il loro utilizzo in abbinamento con pietanze salate di un certo spessore. Non lo nego, un minimo di preconcetto c’era, nonostante la caratura degli organizzatori dell’evento, il gruppo dei Gelatieri Artigiani Fiorentini, avesse dovuto dare qualche garanzia. L’associazione ha voluto osare, cimentandosi nel progetto di presentare il gelato in una nuova chiave di degustazione: piatti “alti” della tradizione toscana abbinati ad un gelato che, a seconda della pietanza, poteva essere dolce o salato. Scenario dell’evento, andato in scena qualche giorno fa, è la Terrazza Brunelleschi del Grand Hotel Baglioni: se i piatti sono stati preparati dallo chef Richard Leimer, il suo estro e la sua inventiva hanno fatto il paio con quella dei gelatieri fiorentini.
La partenza rischiava di essere la riproposizione di uno stereotipo, il classico antipasto prosciutto e melone. In realtà, a far la differenza sono stati i dettagli, le sfumature, i particolari: è vero che l’abbinamento non è certo nuovo, ma l’uso di meloni freschi lavorati “espressi” e il prosciutto toscano 24 mesi di Renieri tagliato sottile hanno dato al piatto quel valore aggiunto. Poi è stata la volta del menù vero e proprio, con una millefoglie di capesante scottate al lime e provola e pomodorino con tartar di scampi e menta, abbinato al gelato alla salsa verde (foto in alto). Notevole l’amalgama di sapori tra il gelato e lo scampo, così come l’armonia tra la capasanta – cotta al punto giusto – e il formaggio, con il lime a dare il giusto tocco.
Il menù è proseguito con una crema di carote fredda con gelato al ginger e coda di gambero al timo. Anche qui è stato interessante il gioco di contrasti tra il dolce della crema di carota e il sapore speziato del ginger, senza che il timo o il gambero soccombessero. Soprattutto, non ha dato l’impressione di essere un accostamento forzato o innaturale. Il criterio “ne ordinerei un altro piatto o no” stavolta è decisamente soddisfatto.
Poi è stata la volta del primo, un cappellaccio (uno) di pecorino con pesche caramellate e maggiorana, mentre il gelato era in un cestino di formaggio: forse la pesca era un elemento troppo dolce, nel complesso del piatto, ma la consistenza del cappellaccio si sposava benissimo sia con il cestino di formaggio che con l’intingolo di pecorino.
Dopo il bon bon di cioccolato al frutto della passione, il secondo piatto arrivato al tavolo era forse quello dove le aspettative erano maggiori, così come la curiosità per l’abbinamento. Il medaglione di pescatrice avvolto nel rigatino (non una novità, ma sempre gradevolissima) abbinato al gelato allo zafferano: anche in questo caso, il risultato è stato al di sopra delle aspettative. Se è vero che in gelateria difficilmente un cliente acquisterebbe un cono o una coppetta allo zafferano, un esperimento del genere nobilita il gelato a degno accompagnamento di un pesce pregiato come la pescatrice.
Prima dell’ultima portata – il blu di bufala con mostarda di albicocche e zucca – c’è stato tempo per un altro secondo: lo spiedino di quaglia alla salvia, abbinato al gelato alla ciliegia. Al di là dell’ottima fattura del gelato in sé, l’abbinamento ha marcato una differenza con il piatto precedente: l’abbinamento non giocava sul continuum di sapori ma sul contrasto, con risultati interessantissimi. Insomma, a conti fatti, l’abbinamento di gelati ad hoc – quelli che, come detto, sarebbe difficile vendere a sé in coni o coppette – con piatti salati della tradizione non è più un’utopia o un semplice divertissement.