mercoledì 24 Aprile 2024
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Intervista a chef Filippo La Mantia: “Basta destrutturazioni, la cucina torna alla semplicità”

Lo chef siciliano Filippo La Mantia per una sera ha portato i suoi piatti al SimBiosi di via Ginori: oltre a cucinare, ha raccontato un po’ di tendenze nel mondo della cucina. “Abbiamo vissuto anni all’insegna di destrutturazioni e reinterpretazioni, poi qualcuno ha capito che alla gente interessa mangiare ed è iniziato un ritorno alla semplicità che spero duri”.

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Per una sera ha portato a Firenze, al SimBiosi Organic Pasta, il suo tocco ai fornelli: lo chef Filippo La Mantia ha firmato il menù speciale del ristorante di via Ginori, con un paio di piatti d’ispirazione siciliana – la caponata di melanzane con un ristretto di Marsala e il cous cous al cacao amaro, oppure i paccheri con pesto di zenzero, lime, capperi, finocchietto, con finocchi al vapore e polpettine di vitello – affiancati ad altrettanti più marcatamente toscani, come il cinghiale in salsa di topinambur, granella di nocciola, uvetta e pane al farro oppure la mousse al cioccolato bianco aromatizzato all’amaro Lucano con cantucci, rosmarino e crumble di noci.

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Interessanti i paccheri con pesto di zenzero, lime, capperi, finocchietto, con finocchi al vapore e polpettine di vitello: un piatto dall’acidità spiccata e persistente (forse avrei tolto una delle tre note acide) con una buona cottura e nel complesso parecchio accattivante. Le polpettine, forse un po’ durette, danno al piatto un tocco familiare piuttosto gradevole.

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Nell cinghiale in salsa di topinambur, granella di nocciola, uvetta e pane al farro, l’elemento di spicco è l’uso della nocciola insieme al topinambur, che esalta il sapore – selvatico, com’è giusto che sia – del cinghiale, smorzandone eventuali note troppo “strong”. La carne è invece sorprendentemente morbida, a completare un piatto davvero ben riuscito.

La serata al Simbiosi è stata anche l’occasione per due chiacchiere con lo chef Filippo La Mantia di Oste e Cuoco a Milano.

Intervista a chef Filippo La Mantia: "Basta destrutturazioni, la cucina torna alla semplicità"

Filippo La Mantia, per una sera lascia il ristorante Oste e Cuoco di Milano ma porta a Firenze un tocco della sua Sicilia…

Adoro fare questo tipo di serate: il mio sogno è proprio un locale piccolo, gestibile, come Simbiosi che ci ospita. Quando posso – e dire che l’unico momento libero che ho, durante la settimana, è la domenica pomeriggio – partecipo volentieri a queste iniziative perché mi piace cucinare per la gente, più che per i critici o voi giornalisti. La mia Sicilia la porto dentro, attraverso i miei piatti: anche se il 50% dei miei clienti sono siciliani, i milanesi che vengono all’Oste e cuoco sono ricettivi e ciò mi dà una soddisfazione immensa.

Qual è lo stato della ristorazione a Firenze? I suoi locali preferiti?

Con Firenze ho un rapporto intrinseco, stretto, conosco bene la città per più di un motivo: sono venuto per un evento con i Frescobaldi, poi per Italia a Tavola e così via. La ristorazione fiorentina, se mi passa il gioco di parole, è fiorentissima: ci sono interpreti come Marco Stabile, che è un grande rappresentante della città. Oppure Alessandro Frassica di ‘Ino: pensi che da me a Milano ci sono i suoi panini. O ancora uno come Vito Mollica. Eppure, nonostante questi e altri grandi nomi, per me Firenze non è ben gestita dal punto di vista della ristorazione: la città ha un flusso enorme di persone che riempiono soprattutto i fast-food, mentre il fiorentino non lo trovi spesso a mangiare fuori. Come Roma e Venezia, anche Firenze viene presa d’assalto dal turismo mordi e fuggi.

Intervista a chef Filippo La Mantia: "Basta destrutturazioni, la cucina torna alla semplicità"

I ristoranti di alta fascia hanno difficoltà a far quadrare i conti: si dice che una soluzione possano essere le strutture interne agli hotel…

So di cosa parlo: sono stato all’hotel Majestic a Roma per sette anni, ed è l’unico in attivo. Anche se Heinz Beck è un genio della ristorazione, la cose non vanno benissimo nemmeno a lui. C’è una categoria di ristoranti che non può essere in attivo, nonostante faccia un bel numero di coperti: le spese di gestione e di manodopera sono troppo alte. O riesci a estrapolare il ristorante dalla gestione dell’hotel, con un’amministrazione a parte, oppure non ne esci. Non può funzionare perché è una struttura troppo complessa da mandare avanti. Quindi per i top chef la salvezza è rappresentata da consulenze, eventi esterni, ecc.. Non è che si possa far pagare al cliente una carta dei vini milionaria, ad esempio.

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C’è una tendenza particolare che vede in atto, nel mondo della cucina contemporanea?

Per fortuna i cuochi stanno tornando a guardare indietro, a riscoprire e rivalutare il passato: la cucina italiana ha vissuto anni all’insegna di destrutturazioni, rivisitazioni, reinterpretazioni, poi qualcuno ha capito che alla gente interessa mangiare ed è iniziato un ritorno alla semplicità che spero duri a lungo. Non siamo scienziati e non dobbiamo tirarcela: dobbiamo far da mangiare per i clienti, e far sì che escano dal locale soddisfatti. Gli chef hanno riscoperto, in generale, l’esigenza di riavvicinare a sé la clientela: si stanno ricordando il valore del passaparola come strumento di promozione del ristorante. È importante riscoprire il rapporto della relazione col cliente: quando il prete si mette a fare il filosofo, la chiesa si svuota.

Per Filippo La Mantia ci sono nomi emergenti, che faranno parlare di sé a stretto giro?

Ce n’è uno, in particolare, che mi ha colpito molto: il pasticcere di Norbert Niederkofler della “Rosa Alpina”, in Alto Adige, ha una mano davvero felice.

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