giovedì 28 Marzo 2024
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Libri: “Cessate il cuoco” di Andrea Cuomo e la bolla dell’alta gastronomia

Il giornalista Andrea Cuomo ha pubblicato “Cessate il cuoco”, un pamphlet dedicato al mondo dell’alta gastronomia, ai suoi protagonisti, ai topos più diffusi e alla bolla che rischia di far scoppiare il settore, allontanandolo ancor più dal grande pubblico. Gli abbiamo chiesto qualche dettaglio in più

andrea cuomo cessate il cuoco

Ci vuole senza dubbio una certa dose di coraggio, per prendere in mano il comparto più in voga del momento e metterlo a nudo raccontandone meccanismi, retroscena, protagonisti e aneddoti. Ma a un giornalista il coraggio non dovrebbe mai mancare, e questo Andrea Cuomo lo sapeva bene mentre nelle 50 pagine di “Cessate il cuoco” (ed. Il Giornale) passava in rassegna con occhio analitico gli chef, i food blogger, la critica gastronomica e così via. Il rischio per chi si discosta dal mainstream e preferisce ritagliarsi un ruolo fuori dal coro (che poi è il titolo della collana dei volumi allegati a Il Giornale) è che – citando le sue stesse parole – “il mondo del food reagisce compatto per espellere il corpo estraneo”, in quel caso l’autore di un paio di stroncature a locali considerati apicali.

andrea cuomo

Andrea, hai scritto ciò che molti pensano ma pochissimi dicono. Non è che il “corpo estraneo” diventi tu, stavolta?

Era un rischio calcolato, in effetti, ma per fortuna non si sta verificando. Con il mondo dell’enogastronomia ho un rapporto laico, nel senso che il mio stipendio l’ha sempre pagato altro (l’autore è da vent’anni giornalista del Giornale, dove si è occupato di cronaca di Roma, politica, esteri, interni fino a diventare inviato, ndF) e ciò mi ha consentito di non essere legato a doppio filo a quei meccanismi di cui parlo nel libro. Ecco perché ho potuto permettermi di scrivere certe cose.

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C’è invece una buona parte di addetti ai lavori il cui giudizio non può dirsi esattamente libero…

Esatto: in giro noto sempre più ansia di farsi vedere, di essere sempre invitati, di trovarsi in prima fila. Ciò ha come conseguenza quella sorta di autocensura che porta a non poter scrivere le cose che si pensano davvero. I meccanismi che racconto nel libro hanno evitato la formazione di una critica libera e laica. Questo discorso vale anche per le guide, che considero criticabili per come oggi vengono concepite e redatte: se la cifra pagata a chi redige una scheda è decisamente inferiore al prezzo che questi spende per andare a sentire il ristorante, significa che è il modello a dover essere ripensato. Altrimenti non c’è da stupirsi se poi per fare economia la recensione viene effettuata in occasioni (degustazioni, presentazioni, inaugurazioni) che falsano il giudizio.

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Non a caso nel libro ti soffermi sul concetto di stroncatura e di come questa sia sparita dal settore. Perché?

Pensiamoci un attimo: le bocciature, dalla stroncatura tour court fino alla semplice critica negativa, esistono in tutti gli altri campi. Nello sport, con le pagelle del lunedì, o nei film e nel teatro: i voti bassi sono all’ordine del giorno, a fronte di prestazioni ritenute non all’altezza. Nel food ciò non esiste, il giudizio difficilmente si scosta da toni celebrativi o osannanti. Quando mi è capitato di farlo notare, mi sono sentito rispondere che non era opportuno “sprecare spazio” per parlar male di un locale, di uno chef o di un vino. Eppure uno “sconsiglio” ha la stessa dignità e valore di un consiglio.

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Prima Camilla Baresani con “Gli sbafatori”, poi Davide Paolini con “Il crepuscolo degli chef”, adesso tu: è il segnale di una nuova presa di coscienza critica da parte del mondo del food?

Credo di sì. Camilla ha forse usato la formula del romanzo per non andare fino in fondo, non ha osato fare nomi e cognomi. Io ho potuto spingermi magari un po’ più in là, compatibilmente con la formula del pamphlet da allegare al quotidiano, e non è detto che da questo volume non nasca lo stimolo per uno spin-off ben più dettagliato e analitico. Ho scritto “Cessate il cuoco” in poco tempo, non poteva avere il respiro di un’indagine approfondita. In ogni caso mi hanno detto che era un libro necessario, di cui c’era bisogno.

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Nel libro accenni a una “bolla” dell’alta gastronomia. A cosa ti riferisci, di preciso?

Beh, alla sopravvalutazione di alcuni aspetti: da una parte abbiamo il mondo degli addetti ai lavori che viaggiano, degustano, raccontano; dall’altro un intero universo di persone che per motivi economici non ha accesso a quei ristoranti o non può permettersi certe bottiglie. Di tutti gli star system, quello del food è l’unico in cui le stelle sono inaccessibili. Con cifre ragionevoli si possono ammirare i campioni di calcio allo stadio o il cantante preferito in concerto, ma non si può far lo stesso con una cena da Cracco. È un mondo che non comunica quotidianamente col pubblico, e che genera idolatrie ingiustificate.

Hai avuto feedback “illustri”, dopo l’uscita del libro?

Non posso negare che il libro stia facendo un certo scalpore, e qualche chef – pochi, perché con molti di essi non ho rapporti di amicizia – si è fatto vivo per scrivermi, così come un po’ di colleghi del settore. Un “normale” libro sull’enogastronomia non avrebbe avuto molto senso, mentre volevo qualcosa che fosse lontano dal mainstream. Certe cose in fondo le penso da tempo e mi hanno sempre dato fastidio, anche se sarei ipocrita a negare che in certi malvezzi a volte ci sia incappato anch’io.

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Il libro di Andrea Cuomo sarà in edicola fino a mercoledì 14 dicembre allegato a Il Giornale, ma può anche essere ordinato all’edicolante oppure sul sito del quotidiano.

Per comprenderne lo spirito, crediamo sia illuminante un frammento della prefazione: “Sentenziamo convinti che l’Italia sia il Paese dove si mangia meglio al mondo. E magari è anche vero, ma poi andiamo da Alì, il kebabbaro (…). Parliamo di Cracco, Cannavacciuolo, Bottura come se fossero patrimonio della nostra cultura personale, ma non sappiamo bene nemmeno dove questi signori abbiano il ristorante“. Pur con tutti i limiti imposti dal formato, che penalizzano una scrittura leggera e ironica ma mai banale, il libro analizza la figura degli chef superstar – giullari col nome ricamato in oro sulla giacca bianca immacolata – e spiega come si formano (e giustificano) i prezzi dei loro ristoranti.

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Ma è soprattutto quando Andrea Cuomo passa in rassegna la critica enogastronomica che la penna si fa stiletto, raccontando un giornalista “sempre sospeso tra cronaca e critica, con gli strumenti della prima e l’ambizione spesso velleitaria della seconda (…), promosso al rango di censore accigliato anche se non sa cosa sia una brunoise e pensa che la bisque sia il casinò di Montecarlo”. Impagabile, in fondo, la carrellata di tipi ideali che animano il GCG, il Grande Circo Gourmet. Sì, uno spin-off ci sta tutto. E se le pagine saranno 500 anziché 50, sarà solo un bene.

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