venerdì 29 Marzo 2024
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Pizza revolution e tradizione, a Firenze ecco “Le Follie di Romualdo”

Firenze è una pizza. Ma non in quel senso! Anzi, è croccante, fumante, alta o bassa non importa l’importante è che sia buona. ‘Le Follie di Romualdo’ è la pizzeria di Romualdo Rizzuti che con questo semplice assunto porta, nel locale che fu Convivium, la tradizione partenopea. La Gavinana dei golosi può ora esser contenta d’adottare un lucano che a suon di pizze ha conquistato il cuore dei fiorentini

 

L’offerta pizzagastronomica non smette di crescere e si arricchisce di una pizzeria che è il coronamento, o forse la follia, di un pizzaiolo nato col talento per sfornare Romualdo Rizzuti, classe 84′, arrivato dalla Lucania a Firenze per professare il culto della pizza. Dopo aver indossato la maglia del Mercato Centrale, Romualdo conosce bene il peso che porta e l’aspettativa che un semplice piatto della tradizione possa suscitare in intere compagini di clienti che fino a tarda notte discetteranno su quale sia la pizza migliore.

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Le Follie di Romualdo, una cucina rodata nella Firenze del sud

Parlando con lo chef Romualdo Rizzuti si ha subito la sensazione di avere davanti un professionista della pizza. Ma mi spiego meglio. In un’ottica che sta a metà tra il romanticismo incantato della ‘Napule è’ di Pino Daniele, l’estrema spettacolarizzazione culinaria con gli chefstar dalla bocca dei quali pendono migliaia di fedeli seguaci, la simpatia e la genuità con cui Romualdo risponde alle domande, abbinata ad una tecnica inforna/sforna da puro fantasista della pala, sono la testimonianza di come si possa tradurre in piacere per il palato una tradizione povera ma ricca di fantasia.

 

Le Follie di Romualdo sono in bella vista, un cantiere a cielo –si pronunci il dittongo ie alla campana– aperto. La sua brigata di allegri e giovani pizzaioli fa bella mostra di se dietro un bancone a vetro. I due forni a legna accolgono le pizze dalle più tradizionali a quelle gourmet.

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La tradizione non è e non può essere posticcia

Non fate gli gnorri, almeno una volta avete pronunciato la parola tradizione, magari forse in ambito gastronomico. Ma cosa vuol dire? Ad esempio mi viene in mente una puntata di ‘4 Ristoranti’ di Alessandro Borghese. Tema: le osterie romane. Al centro: “A’Carbbonara” 

I 4 ristoratori si sono scazzati sul parmigiano sulla carbonara. Voi ce lo mettereste? Ah beh, io si.  Ma per uno di loro era tassativamente no.

“300 anni fa nun ce stava er parmiggiano’. 

Però se voi fate una googleata images  vedrete il formaggio su gran parte delle foto. E a mia memoria (onestamente devastata dall’abuso di smartphone), ho spesso trovato la Carbonara col parmigiano. E a nessuno frega nulla se sul quel piatto ci sia o meno.

Quindi cosa possiamo imparare da questa parabola carbonara? Che a’tradizzione è na parola abbusata e spesso è retorica da cartolina che si muove in un ventaglio aperto dallo squallore dei ristoranti italiani all’estero alla baracchina in Maremma in cui sei obbligato a raccogliere i baccèlli con le tue mani.

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Secondo i potenti mezzi del centro studi intergalattici de ‘Il Forchettiere’, abbiamo un grafico attendibile della tradizione

Pizza e innovazione

Dopo il pippone sulla tradizione, plasmo un concetto partendo dalle parole del buon Romualdo (guardate il video) e ne estraggo un distillato di concetti: al giorno d’oggi la tradizione ha poco significato, visto che non si parla di folklore ma di abitudini alimentari che guarda caso sono legate alle possibilità di accesso dell’uomo nei confronti del cibo. E oggi con l’industrializzazione totale abbiamo accesso a tutto. Quindi rimanere fermi a come facevano i nostri avi con sofferenze e sacrifici avrebbe poco tempo. Per cui la tradizione non è un residuato da museo o uno specchietto attira turisti, ma un ‘fiume del costante cambiamento’ (per dirla alla Genesis di Selling England by the Pound). 

Ma no dai! Non voglio dire, in maniera marinettiana, che il passato è da dimenticare. Ma che piccoli aggiornamenti possono rendere la tradizione molto più viva. Ad esempio: l’idea di Romualdo di mettere a crudo le acciughe e non in cottura nel forno possono essere uno sfizioso restauro. Oppure cercare una commistione tra ingredienti legati alla stessa ‘tradizione di origine’, il che non significa mettere l’ananas e il gorgonzola sulla pizza, ma ad esempio omaggiare i purpitielli con un bel panuozzo. 

Location, menù e carta dei vini

Tornando sulla terra, il menù de ‘Le Follie di Romualdo’ offre circa dieci pizze ovviamente filopartenopee dalla salsiccia e friarielli alla marinara e per gli amanti del calibro della pizza direi spessore medio. Sinceramente penso che la fissa di misurare la pizza col righello, sia una masturbazione celebrale che parte  da nord di Roma, alla ricerca delle dimensioni giuste. Cioè, si la pizza napoletana si taglia col dorso del coltello, però tra il lenzuolo egiziano e il materasso  dello Spera ci sono delle vie di mezzo. E ho la sensazione, dopo aver parlato con diversi pizzaioli napoletani che a loro non importi molto dello spessore.

Le dimensioni non contano

Ottima carta dei vini, partendo dalle blasonatissime bollicine Pol Roger fino al Chianti Classico e un’ottima gamma di bianchi tra cui il famosissimo e ormai gettonatissimo Gewurztraminer.

La location è ampia, con il fuori accogliente e le ampie e discrete sale al piano di sopra, con luci soffuse tenue e purpuree, leggermente da privèe di discoteca, sicuramente apprezzate dalla clientela media.

L’avventura di Romualdo che da valvassore al feudo di Umberto Montano al Mercato Centrale diventa feudatario in un regno del sud, in connessione di sole tra la costa campana e la città dell’arte, della cultura e sempre di più della pizza.

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