La Regione inserisce la bistecca alla fiorentina nell’elenco dei Pat, ma Coldiretti chiede “che venga utilizzata solo carne 100% made in Tuscany per scongiurare che un alimento simbolo della regione perda il radicamento col territorio”. Ma è difficile che accada
Breve preambolo: la Regione Toscana inserisce la bistecca alla fiorentina nell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) – un elenco, appunto, che non vincola all’istituzione di disciplinari, certificazioni né controlli di sorta – e Coldiretti chiede che venga utilizzata solo carne 100% made in Tuscany per mantenere il radicamento col territorio. Intento nobile, per carità, ma la Regione ha già chiarito che non è possibile, poiché la ciccia deve rispondere “solo ed esclusivamente a requisiti che riguardano i metodi di lavorazione, di conservazione e di trasformazione consolidati”.
È stata la stessa Coldiretti, basandosi sulle caratteristiche del PAT – requisiti “omogenei per tutto il territorio interessato secondo regole tradizionali per un periodo non inferiore a 25 anni”, recita il decreto 21668 della Regione – a chiedere un ulteriore specifica: “Bene il riconoscimento della bistecca fiorentina tra i prodotti agroalimentari tradizionali regionali – propone il presidente Fabrizio Filippi – ma è necessario che venga utilizzata solo carne 100% made in Toscana per scongiurare che un alimento simbolo della regione perda il radicamento con il territorio e il valore intrinseco legato all’allevamento toscano”.
E ancora, a scanso di equivoci: “Al consumatore italiano e internazionale – aggiunge – deve essere offerta la bistecca alla fiorentina utilizzando necessariamente carne 100% Made in Toscana. L’allevamento del bovino da carne in Toscana è per lo più di tipo tradizionale, con allevamenti semi-estensivi di dimensioni medio piccole con capi macellati nati e allevati sul territorio regionale. Tra questi, la razza Chianina riveste sicuramente grande importanza sia per la sua diffusione sia per la tipicità e qualità”.
Ma la Regione è di altro parere: “Da nessuna parte si dice che la carne deve essere toscana, e meno che mai di determinate razze piuttosto che altre. Mai si parla di disciplinari, di certificazioni, di controlli, ecc…”. E incalza: “Ma PAT significa che deve rispondere solo ed esclusivamente a requisiti che riguardano i metodi di lavorazione, di conservazione e di trasformazione consolidati nel tempo, omogenei per tutto il territorio interessato secondo regole tradizionali per un periodo non inferiore a 25 anni. Queste sono le caratteristiche richieste per essere PAT”. Insomma, la richiesta di Coldiretti non è attinente.
E se da un lato Coldiretti Toscana ha siglato un accordo per promuovere la filiera 100% made in Italy col conferimento di vitelli e vacche nutrici in Toscana per far crescere l’allevamento del bovino da carne, dall’altro in una città come Firenze sono sempre meno i ristoranti che possono vantare di avere in carta solo carne made un Tuscany, per di più certificata. Ciò avviene sia per questioni di prezzo, a vantaggio di alternative più economiche (dalla manzetta prussiana alle carni provenienti dall’Est Europa) o diffuse (non sono poi moltissime, le Chianine purosangue) sia – al contrario – per una volontà di ampliare l’offerta con un ventaglio di carni da tutto il mondo (dalla Rubia Gallega all’Angus fino all’australiana o alla Wagyu).