Ha aperto i battenti a Firenze il ristorante Vivo, la “terza via” del pesce in città: né ristorante gourmet né low cost, ma una serie di proposte a prezzo fisso (8-10 euro) più crudité di alta qualità proveniente da Orbetello. Una new-entry che può segnare il consolidamento di un trend
Quando si crea qualcosa di inusuale, anche nel campo della ristorazione, uno dei primi problemi da affrontare è quello della auto-definizione. Capire cioè come raccontarsi in modo che il cliente finale possa percepire e identificare la nuova offerta gastronomica che gli si para davanti, distinguendola da tutte le altre. Il ristorante di pesce Vivo in piazza Annigoni, a Firenze, è un esempio calzante di questa situazione. Non è strettamente un ristorante di pesce, perché completa una filiera che parte dal peschereccio e arriva alla padella. Non è un locale low cost, perché pur avendo prezzi decisamente concorrenziali – come vedremo – ha un livello qualitativo della materia prima e un grado di complessità delle preparazioni che non lo fanno rientrare in quella categoria. Da qui l’opportunità di parlare di una “terza via” differente sia dai ristoranti gourmet a vocazione ittica sia dai tanti locali a basso prezzo (e analoga qualità).
Dopo aver esordito tre anni fa a Capalbio, il ristorante Vivo ha aperto da meno di un mese in piazza Annigoni, peraltro accanto a un altro point of interest della gastronomia fiorentina, quel Giovanni Santarpia che rappresenta uno degli alfieri (insieme a Pasquale Caprarella e Umberto Montano, giusto per citarne due) delle nouvelle vague cittadina in fatto di pizza, settore decisamente sotto la media nazionale fino a un paio d’anni fa. Non è in fondo peregrino pensare – magari con un minimo di ottimismo – che l’arrivo di Vivo possa coincidere con una rivalutazione generale dell’offerta del pesce a Firenze, anche perché altri segnali in questa direzione non mancano, a partire da tal “Calino” a Scandicci (di cui parleremo presto).
Ma veniamo alla cucina del ristorante Vivo, che ha il suo punto di forza nel rapporto tra il prezzo e la qualità del pescato. Dal momento che ciò che viene portato in tavola dipende da ciò che viene reperito nel mare davanti a Orbetello il giorno precedente, il menù cambia continuamente. Le proposte restano sempre nove, a prezzi fissi: tre antipasti (a 8 euro), altrettanti primi (a 9) e secondi (a 10 euro). Abbiamo provato i moscardini al vapore su vellutata di fagioli, capresina e origano, così come la pappa al pomodoro con mousse di merluzzo e basilico, mentre tra i primi il sapore deciso del risotto sconciglio e rosmarino (si tratta di una conchiglia puntuta diffusa nel Tirreno, ndF) ha una marcia in più rispetto ai pur apprezzabili e ben cucinati tonnarelli con telline. La frittura mista, dal canto suo, non lesina né sulle varietà né sull’abbondanza.
Un capitolo a parte merita la crudité, autentico valore aggiunto del ristorante Vivo: i prezzi sono sensibilmente più alti – con prezzi unitari da 1 a 8 euro al pezzo e menù da 15 a 50 euro – ma francamente sfidiamo a trovare in città una simile varietà di ostriche (Augustus Bretagna sud, Caesar Marennes-Oléron, Divine Normandia, Tsarskaya, Tiberius tra le Superiori, Claudius Isigny-sur-mer, Noblesse Bretagna e Cirdu Sardegna tra le Spéciales, Domitianus Marennes-Oléron, Titus Carantec Bretagna Nord, Nero Cancale Bretagna Nord, Fine de Belon Bretagna Sud tra le Fines, più le Belon 00 e Belon 000 tra le piatte) oltre a crostacei, tartare, carpacci e praticamente qualsivoglia frutto di mare, dai tartufi ai limoni di mare, dai percebes ai ricci, dalle orecchie di mare alle cozze pelose, fino a fasolari, amandas, clams e boulot.
La carta dei vini è di ispirazione maremmana, ma le vere chicche del ristorante Vivo sono quelle che non sempre arrivano alle orecchie del cliente: col crudo, ad esempio, invece del sale arriva una boccetta (roba da 12 euro/confezione) con una particolare acqua di mare da spruzzare sul cibo per salarlo adeguatamente, mentre la stessa acqua di mare è usata – nella proporzione di un terzo rispetto a quella dolce – come acqua di cottura per le paste.
Tutto perfetto, insomma? Beh, non proprio. Al ristorante Vivo ci sono ancora alcune situazioni da migliorare, in una struttura che comunque conta 150 coperti e circa 180 clienti a sera: innanzitutto il rumore causato dall’open space, che non lo rende il massimo per una cena romantica (ma il problema dovrebbe essere risolto a breve con una serie di pannelli abbattirumore, in grado di ridurlo da 2,4 a 0,9). Poi i tempi di servizio, dal momento che ogni zona della cucina è dedicata a un tipo di preparazione: difficile, ad esempio, far uscire tutti primi diversi in contemporanea. Anche il servizio ai tavoli deve ancora rodare alcuni meccanismi. Detto ciò, comunque, la proprietà – in primis il titolare Maurizio Manno, membro di una famiglia di imprenditori del settore che è partita dalla pesca e oggi ha messo su un impero del pescato che copre l’intera filiera – non intende puntare tutto sull’aspetto glamour e sullo scimmiottamento dei ristoranti di pesce d’alta fascia. Tutt’altro. Il problema casomai è di questi ultimi, che proprio in un momento in cui la leva del prezzo incide in maniera importante sulle scelte dei clienti, vedono riempirsi un locale con materie prime di qualità a prezzi decisamente concorrenziali.