Dopo l’Ice Bucket Challenge arriva sul web il Trito Challenge. Finalità simile: raccolta di fondi. Ma ciò che mi lascia perplesso – almeno in quest’ultimo caso – sono le modalità con cui preparare un trito può contribuire alla lotta per il Parkinson. Di sicuro aumenta l’ego e la visibilità di chi lo organizza e chi lo fa, ma ai malati ne cale il giusto…
Ricordate le secchiate d’acqua in testa per raccogliere fondi a favore della Sla? Vi siete chiesti anche voi in che modo quel gesto potesse servire ai malati di sclerosi? Beh, almeno in quel caso il “mistero” è stato presto svelato: chi si sottoponeva alla prova doveva infatti – stando al suo buon cuore, almeno, visto che in pochissimi hanno mostrato le ricevute dei bonifici effettuati – effettuare al contempo un versamento per le associazioni di ricerca per lotta alla Sla. Sta di fatto che alla fine è stata raccolta una somma congrua, e la cosa è finita lì.
Ebbene, adesso sulle onde lunghe del web arriva il Trito Challenge, ossia la sfida a preparare un trito di carote, sedano e cipolla “per la lotta al Parkinson” (così si legge su tutte le didascalie di accompagnamento ai video). Bene, mi sono detto: quando si tratta di raccogliere fondi è sempre una buona cosa. Poi però mi sono chiesto: “Qui non si parla mai di bonifici né di versamenti, vediamo di capirci qualcosa di più”. E ho scoperto che il “Trito Challenge” è stato ideato in seno alla manifestazione Cibo Nostrum 2017 (11-13 giugno, Taormina e Zafferana Etnea) per “spingere” la partecipazione e la conseguente adesione di pubblico, che a sua volta si traduce in maggiori fondi destinati alla ricerca.
Insomma, a 160 chef italiani che partecipano a Cibo Nostrum è stato chiesto di girare un video, in modo da rendere più visibile l’iniziativa e far sì che all’unico reale strumento di raccolta fondi per il Parkinson – ossia l’acquisto del biglietto della manifestazione, a 30 euro – partecipi più gente possibile. Bene, la cosa ha evidentemente senso finché dà modo a chef, giornalisti e blogger di incuriosire chi vive nei dintorni (vogliamo arrivare in un raggio di 80 km dal luogo della kermesse?). Ne ha meno quando il video del Trito Challenge viene fatto – in buona fede, per carità – senza una vera finalità benefica, ma spesso solo per vanità. Insomma, si fa marketing per spingere un evento sulla pelle parlando in nome dei malati di Parkinson.
A confermare le modalità della raccolta fondi sono gli stessi organizzatori di Cibo Nostrum 2017: gli interessati entrano, pagano il biglietto, assaggiano e quei 30 euro vengono versati in beneficienza: “Quanti si abbandoneranno a questo viaggio suggestivo – si legge sul sito della manifestazione – potranno infatti degustare piatti emozionanti ed assaggiare vini del territorio. Anche quest’anno il ricavato della giornata taorminese sarà devoluto in beneficenza alla Fondazione LIMPE per il Parkinson ONLUS”. Anzi, il sito spiega chiaramente che “nei 3 giorni di Cibo Nostrum è sempre previsto uno spazio per la solidarietà. La nuova edizione introduce una novità: la sfida Cibo Nostrum. Gioca con noi per sensibilizzare sul tema della ricerca medico-scientifica sulla malattia di Parkinson. La dinamica è molto semplice: fatti un video in cui prepari il trito per un soffritto. Prima di iniziare presentati (nome, cognome, il ristorante se sei un cuoco) e dì “PARTECIPO ALLA SFIDA CIBO NOSTRUM A SOSTEGNO DELLA RICERCA SULLA MALATTIA DI PARKINSON” A conclusione indica da uno a tre amici che vuoi sfidare e invita a partecipare a Cibo Nostrum 2017. Posta il video sul tuo profilo taggando la pagina @CiboNostrum e usando l’hashtag #CiboNostrum2017“.
Brillante idea di marketing, ma in che modo giova alla causa dei malati di Parkinson il video fatto da chef, giornalisti o blogger che non partecipano a Cibo Nostrum e che per dislocazione geografica non possono nemmeno fare più di tanto da cassa di risonanza dell’iniziativa? In altre parole, in che modo il video di un blogger di Brindisi, di uno chef di Pordedone o di un giornalista di Velletri può spingere gli abitanti dell’hinterland catanese a partecipare alla manifestazione? Visto che non si parla da nessuna parte di versamenti in autonomia – e gli chef che abbiamo interpellato non avevano la minima idea di questa possibilità – viene il sospetto che il realizzare quel video sia un modo per dire “io c’ero”, “boh, non mi costa niente e lo faccio”. Già, ma accanto al nome dello chef/giornalista/blogger c’è scritto spesso che costui/ei dà così il suo contributo alla lotta al Parkinson. Il Trito Challenge, alla luce di quanto detto, sembra più un mettersi in mostra (e far aumentare il buzz intorno all’evento), un solleticare la propria vanità piuttosto che un’effettiva azione a vantaggio dei malati, facendo però leva su di loro. I quali potranno al limite sorridere nel vedere il video su Youtube, ma difficilmente potranno averne vantaggi reali e concreti.
ps: sarebbe bastato anche mettere sul sito di Cibo Nostrum il codice Iban per sollecitare un bonifico, magari. Invece in rete e sui video non c’è traccia di ciò. Segno che forse era più importante far girare l’hashtag.