A volte i ristoranti hanno un giardino a supporto, ma a Firenze l’Architettura del Cibo ribalta i ruoli: il feudo dello chef Giuseppe Papallo è un ristorante realizzato all’interno di un giardino
foto di Luca Managlia
Di solito molti ristoranti convenzionali possono avere un giardino a supporto. A Firenze, l’Architettura del Cibo ribalta i ruoli, essendo di fatto un ristorante realizzato all’interno di un giardino. Ecco perché non c’è da stupirsi se nel feudo gastronomico dello chef Giuseppe Papallo, al centro della sala – quasi come se fosse una colonna – si trova il tronco di un leccio, così come in cucina fa mostra di sé un tiglio. L’elemento naturale è accentuato dalle serie di piante che separano i diversi ambienti, a loro volta delimitati da porte scorrevoli simili alle Shōji d’ispirazione nipponica.
La cucina, per quanto ampia e spaziosa, quasi sembra sottrarsi alla vista: l’atmosfera, arricchita da dettagli di stile (dalle luci alle sedute colorate in pelle, dai colori naturali delle pareti fino alla mise en place essenziale ma curata) riporta a una zona sospesa tra interni ed esterni, tra “dentro” e “fuori”.
È qui che lavora lo chef Giuseppe Papallo, classe ’84, metà friulano (Grado) e metà calabrese (Monasterace), che con l’Architettura del Cibo corona un percorso durato oltre vent’anni durante i quali ha toccato gli ambiti più diversi nel campo della ristorazione. Dettaglio non trascurabile, non è un eufemismo affermare che lo chef sia uno che la cucina ce l’ha nel sangue: è il sesto figlio di due ristoratori, con tutti i fratelli e le sorelle che in un modo o nell’altro – chi chef a Firenze, chi pizzaiolo in Canada, chi titolare di un’enoteca, chi ancora direttore d’hotel – sono rimasti con i piedi ben saldi nel settore.
Ancora giovanissimo lo chef ha iniziato a lavorare al Colombaio a Casole d’Elsa, all’ombra di Vincenzo Di Grande, poi è passato al St. Regis di Firenze e da lì è stato chiamato a Rai1 alla Prova del Cuoco con Antonella Clerici. Ma l’improvvisa notorietà non faceva per lui, e presto Giuseppe fa ritorno nel capoluogo toscano lavorando prima al Golden View, poi a Villa Tamerici a Marignolle e infine come docente alla scuola Lorenzo de’ Medici. Nel 2016 parte una collaborazione con la famiglia Cecchi, proprietaria dell’hotel Astro Mediceo, una villa di fine Ottocento in via Fra’ Bartolommeo, non lontano dall’ex ospedale pediatrico Meyer. Qui, dove la figlia dei titolari Ylenia si occupa della parte architettonica pur senza disdegnare lo sviluppo del lato gourmet, Giuseppe inizia a curare la parte food & beverage dell’albergo, poi virando il progetto nel maggio 2018 con l’apertura dell’Architettura del Cibo. Il ristorante calza come un vestito su misura per lo chef, che dà vita al proprio sogno realizzando al tempo stesso il desiderio dei proprietari.
Il nome del ristorante intende celebrare il connubio tra l’architettura (all’esterno, nella sala) e il cibo (all’interno del piatto). Aperto solo a cena e ormai slegato dall’hotel – che ospita stabilmente le giovanili della Fiorentina – l’Architettura del Cibo rappresenta una cucina di avanguardia autentica, lontana dalle emulazioni o da un modernismo di maniera. La mano dello chef si fa apprezzare nei tre menù degustazioni (Evoluzioni, 7 portate a 95 euro; Architettura contemporanea, 5 portate a 75 euro; Architettura della tradizione, 4 portate a 70 euro) e nella carta – antipasti tra 18 e 22 euro, primi tra 20 e 25, secondi tra 20 e 38 – dove spicca l’uso di materie prime premium, dal tartufo nero pregiato all’astice.
I dettagli di stile che accennavamo a proposito dell’atmosfera li ritroviamo anche a tavola, dalle amuse bouche non banali – da ricordare la pancia di maiale cotta al BBQ con crema di cipolla bruciata – fino alla “candela alimentare” con il lardo che si scioglie via via prima di indulgere alla più classica delle scarpette.
L’inizio della degustazione da Architettura del Cibo è di quelli che vanno dritti al punto: una sfoglia ripiena di foie gras, mela cotogna e granny smith caramellata. Un’entrée dal sapore deciso, intenso, che sfrutta con intelligenza la nota armonia tra il fegato grasso e la mela, incanalando il pasto verso i binari di una piena soddisfazione.
Il pezzo forte arriva con il primo piatto: cappelletti di pasta all’uovo, patè di piccione, liquirizia e cardoncello. Se l’uso della liquirizia tradisce le origini per metà calabresi dello chef, il piccione è invece un omaggio al territorio dove Giuseppe Papallo vive. Non l’ennesimo grandguignolesco petto di piccione, però: qui quest’elemento è perfettamente funzionale al piatto, con lo scopo di dare al boccone una pienezza e un’opulenza non affatto scontata. Il risultato è un primo in cui la liquirizia e il fondo di piccione si sostengono l’un l’altro, separati da una sfoglia sottilissima.
Dopo un esordio del genere, non era facile restare sugli stessi livelli. Invece Giuseppe Papallo inanella un secondo piatto da applausi con i Tagliolini con astice e tartufo nero pregiato: al netto del fatto che con queste materie prime “piace vincere facile”, come recitava un vecchio spot, va apprezzato l’uso della bisque per mantecare la pasta e glassare l’astice.
Dopo una lattuga grigliata che rappresenta una ragionata rivisitazione della Caesar Salad, arriva il turno dell’Agnello pomarancino in doppia cottura: il lombo viene cotto in crosta di erbe aromatiche, mentre il ripieno del raviolo che accompagna la portata è coscio in umido con spezie. Completano il piatto una fonduta di pecorino e pepe nero, e lo scalogno.
Tirando le somme, la cucina di Giuseppe Papallo – insieme a una brigata di due persone sufficiente per i 22 coperti del locale – ad Architettura del Cibo colpisce per un dettaglio: lo chef mostra nella preparazione una mano gentile, elegante, fine; ma al momento dell’assaggio, al palato esplodono sapori forti, intensi, decisi.