Nelle Langhe, dopo il cambio in cucina e l’arrivo di Dennis Cesco, il ristorante Damà (Relais Villa d’Amelia) sta riscoprendo un’anima legata al fine dining
Non si può definire una “parabola”, semplicemente perché il suo verso non potrebbe essere descritto né ascendente né discendente. Per definire l’evoluzione del ristorante Damà – all’interno del Relais Villa d’Amelia, nelle Langhe – è più corretto parlare di cambiamento sic et simpliciter. Già, perché dopo la partenza dello chef Damiano Nigro con cui la struttura di Benevello aveva conquistato la stella Michelin nel 2010, in cucina è subentrato il suo allievo e sous chef, Dennis Cesco.
Veneto, 28 anni, Dennis Cesco era nell’orbita di Villa d’Amelia già da quasi un decennio, e questo percorso interno – intervallato da esperienze maturate in Francia, con lo chef Alain Solivérès a Le Taillevent (2 Stelle Michelin), Yannick Alléno al Pavillon Ledoyen (3 stelle) e Christoph Pelé a Le Clarence (2 stelle) – l’ha portato a prendere naturalmente il posto di Damiano Nigro, emergendo da una brigata nella quale nel tempo sono passati anche chef come il toscano Luigi Bonadonna.
Perché quindi “ritorno” al fine dining? Perché con l’ingresso di Dennis Cesco la proprietà ha sposato la filosofia dei piccoli passi: meglio tenere i conti in ordine e i dipendenti felici (per non parlare degli ospiti, of course), rispetto a fare i salti mortali per tentare una frettolosa rincorsa alla stella. Certo, per il general manager di Villa d’Amelia Mauro Tezzo (foto in alto) l’obiettivo di medio periodo è riportare il Macaron a Benevello, ma con i tempi e i modi giusti.
Ecco perché il fine dining sta tornando a riaffacciarsi, la sera, nel ristorante Damà. A proposito, il nome è una contrazione sia di “Da Ma(mma)”, a voler richiamare una cucina casalinga e familiare, sia di “(Ma)Dama” Amelia, moglie del fondatore della Cascina Bonelli nell’Ottocento.
Un percorso in itinere, quindi: sul fronte della ristorazione, ma non solo, il Relais Villa d’Amelia ha in ballo progetti futuri legati a un’idea di casa signorile di campagna pensata però fuori dagli schemi più consolidati. Un modo per tenere vicini sia i turisti provenienti dal Benelux (Belgio, Olanda e Lussemburgo) e Danimarca in estate, sia i visitatori americani attirati nel cuore delle Langhe dal turismo enogastronomico spinto dal tartufo bianco d’Alba e dai vini pregiati.
Ma torniamo alla cucina del ristorante Damà, che se a pranzo propone una carta più aderente a questa specifica identità piemontese – langarola, rectius – con piatti come il vitel tonnato, il plin, la guancia stufata o il bonet come dessert, fino al tajarin al sugo di salsiccia (nella foto in alto) a cena offre una serie di menù degustazione: c’è il tradizionale (5 portate a 55 euro), quello vocato alla cacciagione (con lepre, cervo, capriolo e piccione, a 75 euro), quello vegetariano e quello dello chef, con 7 portate a 85 euro.
In quest’ultimo menù del ristorante Damà non mancano antipasti come Salmerino e pancetta (nella foto in alto), Astice e animella, primi come Risotto calamaretti spillo e fagioli o Cappelletti di gallina e stracciatella, secondi come il Rombo al BBQ e le sue uova o l’Agnello. E per finire, un dessert di Nocciola e mandarino.