Iniziato qualche mese fa, il nuovo corso del Pepenero di Prato oscilla tra i piatti di Alberto Sparacino e gli ambienti rinnovati, in attesa che la primavera porti l’apertura del nuovo locale
foto di Luca Managlia
C’è un misto di passato, presente e futuro, nel Pepenero di Prato. Ciò che negli anni ha reso popolare questo ristorante della città laniera continua a essere presente – in primis la figura iconica e rassicurante di Marino Giannoni, 90 anni suonati (molti dei quali passati in sala) e ancora piena lucidità, ma anche quella di Sara Sanesi a suggerire vini e abbinamenti – mentre il presente racconta di un nuovo chef, Alberto Sparacino, accanto al patròn Mirko Giannoni.
Attiene alla sfera del “presente” anche il nuovo corso del ristorante dal punto di vista degli arredi, con le pareti un tempo impreziosite da quadri d’autore oggi tornate all’essenziale e dominate dai toni blu e arancioni, e da una mise en place più alleggerita e informale. Il futuro del Pepenero, invece, coincide con l’orizzonte temporale della prossima primavera, quando aprirà una “succursale” in zona stadio.
Dell’avvicendamento ai fornelli avevamo già parlato, ma dopo aver provato il Pepenero con Alberto Sparacino in cucina possiamo confermare che lo chef allievo di Gaetano Trovato ha portato a Prato alcuni dei suoi elementi caratteristici, sia nelle pietanze sia nei piatti intesi come supporto materico.
Ecco quindi che la cucina del Pepenero di Prato mantiene quanto di buono Alberto ha fatto vedere al Linfa di San Gimignano, in primis un amore per la complessità evidente nelle amuse bouche (Ribollita croccante, cipolle in agro e polvere di cavolo nero; Cracker con tartara di tonno, crème fraiche e cappero; Sformatino di carciofi, nage al branzino, topinambur; Foglia di farina di castagne, castagne e zucca; Fegatino di pollo, crema al latte e pistacchio).
Tra gli antipasti, la capasanta alla Wellington con spinacini e funghi di Montepiano – per l’occasione abbinata a una birra “Fuma.a” del Birrificio Badalà – prelude alla Quaglia con agrodolce di peperoncino, mais e verza (in abbinamento allo champagne Alain Mercier Néon Blanc de Noirs Brut, Pinot meunier).
Tra i primi, l’alto tasso di complessità dei piatti di Alberto Sparacino si fa evidente nei Tortelli di cipolla fondente con ajo blanco, colatura di alici, parmigiano, alloro e passion fruit (in abbinamento al Sauvignon Domaine du Tremblay Les Demoiselles Tatin Quincy 2020 Vin Noble) così come nei Tagliolini con formaggi dei colli pistoiesi, erbe amare (quelle del Vermouth, per intendersi), rafano, fondo e ragù di cervo, caviale di aringa (in abbinamento Cabernet franc, Domaine de la Chevalerie Diptyque 2017 Bourgeil).
I secondi piatti del Pepenero continuano a proporre accostamenti fuori dall’ordinario, come la Lingua di vitello accompagnata da salsa tare, ostrica e porro bruciato (in abbinamento Pineau d’Aunis, Pinot noir, Cabernet Franc, Patrice Colin, Coteaux du Vendomois, Vieilles Vignes, 2016) mentre il Piccione ripieno di bieta, olive, capperi e salsa al latticello (in abbinamento Grenache, Syrah, mourvédre, Chateau d’Aqueria, Lirac 2018) richiama gli anni dello chef alla corte di Gaetano Trovato.
Sfizioso, quasi ludico, il predessert “Goleador”, ossia un semifreddo al cheesecake, salsa Cola e polvere di liquirizia, mentre il dessert gioca sulla coesistenza di sapori dalla spiccata acidità (Ananas, rosmarino, cocco e Combawa).