Storia di un trentenne che ha scelto di portare in Lombardia le pizze napoletane. Il segreto della pasta, i prodotti Dop e un successo imprevisto: “Sono partito con 350 euro in tasca, ora i calciatori del Brescia vengono a cena da me”
Da Frattamaggiore a Brescia, con 350 euro in tasca e un sogno nel cassetto: portare in Lombardia l’essenza della pizza napoletana. Questa è la (bella) storia di Ciro Di Maio, giovane pizzaiolo classe ’90 nato in uno dei comuni più poveri e pericolosi di Napoli. La storia di un’infanzia difficile e di studi interrotti appena maggiorenne, ma al contempo anche di un’innata dedizione al lavoro e, soprattutto, una grande forza d’animo. Proprio come quella di suo padre Eugenio “Geggè”, a fatica – e con immenso coraggio – uscito dopo anni dalla morsa della Camorra per crescere i suoi figli in povertà piuttosto che in mezzo a soldi facili.
Sono queste le premesse, e i valori, di una favola fortunatamente a lieto fine. La svolta della vita di Ciro Di Maio è arrivata infatti nel 2015, quando ha trovato un lavoretto da pizzaiolo a Brescia per la catena “Rossopomodoro”. L’inizio di un’avventura mai neanche immaginata… Perché la catena ha presto deciso di lasciare la gestione in mano a sei soci e, tra di loro, c’era proprio Ciro, capace di distinguersi dapprima per il suo impegno e poi addirittura di acquistare le quote degli altri, riuscendo anche a riassumere tutti i colleghi che rischiavano di rimanere a casa.
Un progetto culminato con l’inaugurazione di “Pizza Madre”, il suo locale a Brescia che oggi impiega una quindicina di persone ed è noto per la veracità delle sue pizze, ma anche per il suo menù alla carta di alta cucina. “Ci amano perché rappresentiamo la tradizione napoletana della buona cucina”, ci racconta Ciro. In menù ha la pizza verace, ma anche il “battilocchio”, la pizza fatta da un impasto fritto nell’olio bollente e subito servito avvolto in carta paglia. “Utilizziamo ingredienti semplici, ma tutti freschi e selezionati. Anche per questo abbiamo ottenuto la fiducia di alcuni calciatori del Brescia Calcio, che mi chiedono dopo le partite o in certe occasioni speciali di cucinare per loro”, continua il pizzaiolo-imprenditore.
Il passaparola d’altronde è la miglior arma, tra le altre anche Eva Henger è stata da lui e per una sera si è messa a cucinare pizze, usando i presidi che Ciro dona a tutte le sue pizze. Solo per citarne alcuni, Olio Dop, Mozzarella di Bufala Campana dop, pomodorino del Piennolo, Ricotta di Bufala omogeneizzata e Porchetta di Ariccia Igp. Alla fine, però, l’elemento premiante è sempre la pasta. “Scegliamo ogni giorno il livello esatto di idratazione, in base all’umidità di giornata”, spiega. “Ne esce un impasto molto lievitato, morbido, idratato. Seguiamo la tradizione anche nelle forme. Odio le pizze rotonde e realizzate come fossero un programma di un computer. Le pizze devono avere le orecchie e, se c’è più pomodoro da una parte, è perché usiamo pomodori veri, non salsine che si spalmano omogeneamente. Siamo veraci e anche le nostre pizze devono esserlo”, conclude orgoglioso Ciro Di Maio. Perché la pizza è meglio della Camorra…