Nel cuore della Sila, a 1315 metri, si trova il vigneto più alto d’Europa: oltre 1000 piante, tra vitigni internazionali e autoctoni, curate da Immacolata Pedace e la sua famiglia
foto di Luca Managlia
Quando tra il 2008 e il 2009 Immacolata Pedace e la sua famiglia decisero di impiantare un vigneto su una collina dell’altopiano calabrese della Sila, nei pressi del lago Cecita in località Cava di Melis, tutti nella zona li hanno definiti dei folli. Non solo perché la zona scelta per le prime 500 barbatelle aveva una pendenza del 100% (45°) ma perché si parla di un territorio che d’inverno scende abbondantemente sotto lo zero. Si tratta infatti del vigneto più alto d’Europa, a 1315 metri sul livello del mare, ottimo esempio di enologia estrema.
Infatti, nonostante lo scetticismo dei paesani – “perché non impiantare direttamente l’ananas?”, diceva qualcuno – il nucleo familiare è andato avanti per la sua strada, senza curarsi del resto: non è un caso se tra i pregi/difetti storici dei calabresi vengano sempre annoverate testardaggine e caparbietà. Stavolta, infatti, Immacolata Pedace e la sua famiglia hanno avuto ragione.
“Non attecchiranno mai”, dicevano i paesani della vicina Longobucco. E le piante sono attecchite. “Non germoglieranno, vedrai”, aggiungevano. E sono germogliate. “Sì, crescono, ma con questo clima non verrà mai un buon vino”, insistevano, quasi a voler trovare a tutti i costi una falla nel progetto enologico. E la produzione odierna ha raggiunto le 10mila bottiglie, mentre le piante sono arrivate a oltre un migliaio.
La storia del vitigno più alto d’Europa – due ettari e mezzo nel cuore del Parco Nazionale della Sila, immerso tra i pini larici – è a tutti gli effetti la saga di una famiglia che si è saputa gettare nella mischia pur senza alcun background imprenditoriale specifico: il marito Emanuele è architetto, il figlio Emanuele Jr ingegnere, ma nessuno dei tre andava al di là di una sana passione per l’uva e il vino. In breve tempo i tre hanno imparato da zero come e cosa coltivare – sia vitigni internazionali (Chardonnay, Pinot Bianco, Gewurztraminer, Merlot, Cabernet Franc e Cabernet Sauvignon) sia autoctoni (Magliocco e Gaglioppo) – oltre a capire come assemblare i vini, impacchettarli e distribuirli sui mercati.
Ciò non significa che la famiglia si sia mossa completamente a scatola chiusa, per carità: le varietà sono state scelte dopo aver effettuato lo studio sul terreno, l’esposizione (sud-est) e la resistenza delle piante. Naturalmente, inoltre, l’Azienda Agricola D.P. (sì, il nome non è esattamente il trionfo del marketing…) è seguita da un enologo – anche perché non è inusuale che d’inverno in Sila si arrivi a toccare i meno 20° – e oggi Immacolata Pedace produce un bianco, due rosati e un rosso.
Soprattutto il bianco Chione e il rosato Althea – stesso nome della nipotina appena nata – si sono rivelati una piacevole sorpresa: molto aromatici e fruttati, sono vini dal gusto pieno e persistente, caratteristiche accentuate dalle forti escursioni termiche tra il giorno e la notte.
Alcuni elementi ci sono piaciuti molto, nella storia del vigneto più alto d’Europa: in primis la caparbietà nel realizzare il progetto, la gestione familiare e la “visione” di portare avanti i prossimi passi (a partire dalla costruzione di un museo del vino) nonostante la sostanziale mancanza d’appoggio del “sistema Sila”. Tutto, da queste parti – incluse le frequenti visite da parte di curiosi e appassionati – si regge infatti solo sul buon vecchio passaparola.
Perché allora una scommessa “quasi” vinta? Perché nonostante tutto, l’azienda e la sua storia avrebbero enormi margini di crescita, sfruttati ancora solo in piccola parte. Non in termini di produzione, bensì di comunicazione e promozione. Sinceramente dispiace, pensare che nel 2021 non esista un sito ufficiale (c’è una pagina Facebook e una Instagram, nessuna delle quali però si identifica col nome dell’azienda), che la segnaletica in loco lasci a desiderare, che arrivati al cancello d’ingresso non ci sia un campanello (bisogna chiamare un cellulare, in una zona che non brilla certo per ampiezza di segnale), che non esistano brochure e presentazioni “istituzionali” né una rassegna stampa adeguata alla notiziabilità del vigneto, che la presenza sul web non renda l’idea di quali e quante sorprese possa riservare quest’angolo di Calabria. Peccato, perché una “perla” come il vigneto più alto d’Europa potrebbe ambire a ben altra visibilità, tanto presso gli addetti ai lavori quanto presso gli stessi abitanti della Sila (e oltre…).