Lo zuccotto fiorentino, uno dei dolci simbolo della città, incorona il suo campione. Ma tra ortodossia e sperimentazione, il confronto sul semifreddo è sempre aperto
Si chiama zuccotto fiorentino, ed è da sempre uno dei dolci tipici di Firenze. Gli storici del gusto ne fanno risalire le origini a Bernardo Buontalenti – lo stesso architetto che già mise lo zampino nella nascita del gelato – mentre i puristi ricordano con enfasi il suo antenato, quell’Elmo di Caterina codificato in tempi recenti dall’Associazione gelatieri artigiani fiorentini, identificandolo come la versione canonica. In ogni caso la ricetta classica prevede l’utilizzo di ricotta, granelli di cacao e scorza d’agrumi per la farcitura interna, mentre il rivestimento esterno è aromatizzato con l’alchermes che gli conferisce un colore rosso acceso.
Fin qui l’ortodossia dello zuccotto fiorentino. Ma da quando procurarsi l’alchermes è diventato più complesso – sapevate che in origine lo si ricavava dalla cocciniglia, colorante ricavato dall’omonimo insetto (Dactylopius), e che per produrne un chilo occorrono circa 90mila insetti? – si è ripiegato su coloranti artificiali come E122, E124 e E132. C’è chi ha deciso di togliere completamente l’alchermes, sostituendolo con bagne alternative (rum, liquori come Strega o Grand Marnier, ecc…) o trasformandolo in una laccatura color rosso.
A venire modificati, nel corso del tempo e sotto la spinta della necessità di mercato di offrire ai clienti “variazioni su tema” dello zuccotto fiorentino, sono stati altri fattori: tra questi, la scorza d’agrumi è stata occasionalmente sostituita da canditi, è talvolta comparsa una granella di nocciola o altra frutta secca, il pan di Spagna ha ceduto il passo ad altri succedanei, è comparso il gelato e la panna ha preso il posto della ricotta. C’è chi si è spinto ancora più in là, realizzando una sorta di “pistacchiotto” in cui il semifreddo è riempito con una farcitura al pistacchio.
Nell’eterna sfida tra tradizione e modernità – uno di quei confronti destinati per loro natura a non avere un reale vincitore – è andato in scena la prima edizione di un concorso gastronomico dedicato proprio allo zuccotto fiorentino, patrocinato dal Comune di Firenze. Alla Casa della Nella si sono ritrovate 22 pasticcerie di città e provincia, più qualche “extra” (non a caso alla fine ha trionfato “Gori” di Prato, davanti alla pasticceria Pimpina di Cerbaia e il forno fiorentino Pappa e Ciccia).
Al di là delle complessità logistiche della giuria – in cui figuravano anche la giornalista Annamaria Tossani, la blogger Elena Farinelli e lo studioso Zefiro Ciuffoletti – la giornata ha dato l’occasione di riflettere sulla dicotomia tra una versione classica dello zuccotto fiorentino e le sue diverse variazioni. Al netto del gusto personale, di un bias dovuto all’affetto inconscio verso l’originale (retaggio di una sorta di nostalgia dell’età in cui si è assaggiato per la prima volta) e dell’attitudine tutta fiorentina a storcere il naso davanti alle novità al grido di “il resto sono solo copie”, l’impressione è che stavolta effettivamente la ricetta classica sia ancora quella più gratificante.