foto di Luca Managlia
In una città alle prese con dinamiche gastronomiche piuttosto articolate – una tradizione secolare di cucina popolare unita a una forte presenza turistica, che porta con sé sia locali di fine dining sia ‘trappole’ della peggior specie – il rischio sempre presente è che tra le experience dei ristoranti gourmet e una serie di menù banalmente ordinari non possa trovare spazio una “terza via”, un’offerta di giusto mezzo tra trattorie e fine dining. Ogni tanto c’è però chi riesce a piazzarsi in quella fascia privilegiata in grado di catturare le attenzioni di quanti in un ristorante magari non ricercano né i soliti piatti di sempre né esperienze particolarmente impegnative. Più vicini concettualmente a trattorie, forse, ma con un’offerta più originale senza che ciò penalizzi troppo il portafogli.
Scoprire luoghi del genere è sempre una soddisfazione, soprattutto perché consolida l’impressione che in una città come Firenze possa trovare spazio quella “terza via” della ristorazione, affidata a giovani chef e imprenditori. Era capitato con Casa Ciabattini, ora risuccede con Il Vezzo, in via Guelfa. Ci troviamo a un paio di curve dal centro del quartiere di San Lorenzo, all’angolo con via Santa Reparata. Zona universitaria di giorno, turistica dopo il tramonto. Ed è proprio la clientela straniera, quella che spesso riempie i 26 coperti del ristorante affidato da qualche anno ai due soci Giovanni Berti (in sala) e Marco Anedda (in cucina).
Il primo racconta come la scelta del nome “Vezzo” richiami un duplice significato – sia nel senso di “abitudine” che di “vizio” – mentre il secondo, classe ’90, si è formato ad Alma per poi accumulare esperienze tra il Piemonte (col pastry chef Luca Montersino), Firenze (alla corte di Marco Stabile all’Ora d’Aria), Londra (da Heston Blumenthal) e Marbella, prima di prendere in mano i fornelli de Il Vezzo.
La sua cucina non si rivolge in maniera esclusiva ai turisti, tutt’altro: è proprio grazie a piatti come il suo signature – il Roll di fegatini con fonduta di patate, clorofilla di spinaci, mela al vinsanto e rosmarino (18 euro) – che si è fatto strada tra i palati fiorentini. Effettivamente, si tratta di una rivisitazione intelligente di un grande classico, nato durante il periodo del Covid da una collaborazione con il vicino pub PanicAle. All’apparenza sembra un cinnamon roll, ma non lo è: i fegatini in due diverse consistenze sono bilanciate dalla mela verde, con il vinsanto chiamato a dare una nota aromatica decisa ma non invasiva. Un piatto intenso, che dà il meglio di sé nel formato della condivisione tra i commensali. In altre parole, è il tipico piatto da “dai, me ne fai assaggiare un pezzetto?”.
Nonostante l’ambiente informale e l’atmosfera intima siano più inclini a far presagire una cucina semplice, ci vuol davvero poco per rendersi conto di quanto la mano dello chef sia attenta a non scivolare nell’ordinario. Lo si evince dall’amuse bouche – una tartare di manzo amalgamata con grasso di bistecca, salsa aioli ed erba ostrica – sia da una rapida occhiata ai piatti in carta, dove si alternano proposte da comfort zone ad altre più sperimentali. In attesa che il menù degustazione veda la luce, la scelta è tra quattro corse per ogni partita: antipasti (16-21 euro), primi (15-22), secondi (24-33).
Oltre al già menzionato roll di fegatini, tra gli antipasti la scelta è tra lo Spiedino di guancia di rana pescatrice (foto in alto, 21 euro) con guanciale di Grigio del Casentino, cavolo riccio, dripping di maionese e peperone crusco – un evidente omaggio al Dripping di pesce di Gualtiero Marchesi, e un richiamo alla formazione in Alma dello chef Marco Anedda – e soprattutto la Zucca in crema e in saor con topinambur cotto a bassa temperatura con burro e odori, nocciola tonda gentile, spuma di sedano rapa, pepe di Sichuan e polvere di arabica (foto in basso, 16 euro).
Quest’ultimo è senza dubbio più convincente, grazie a una cremosità tutt’altro che stucchevole. Le consistenze sono affidate sia alla zucca (brillante l’idea del saor per contrastare il rischio dell’effetto-noia della vellutata) che alla nocciola, mentre la parte aromatica è appannaggio dell’arabica. Ciò che lo rende particolarmente apprezzabile è la proporzione, ossia l’equilibrio tra le diverse componenti del piatto: troppo dell’uno o dell’altro lo avrebbero infatti sbilanciato. Il saor, come detto, è il punto di forza dell’intero antipasto.
Tra i primi de Il Vezzo, insieme a proposte più “sicure” come i ravioli burro e salvia o le pappardelle al ragù, spiccano i Dischi volanti del pastificio chiantigiano Fabbri – chiamati così in onore di quella volta (era il 27 ottobre 1954) in cui una partita di calcio tra Fiorentina e Pistoiese venne sospesa per l’apparizione di un Ufo – serviti su una base di carpaccio di gamberi rosa di Viareggio. La pasta è colorata di un rosso intenso grazie all’estratto di barbabietola e sedano, e finita con alga dulse e una spolverata di julienne di tuorlo marinato. Proprio la “finta bottarga” conferisce la parte sapida al piatto, mentre l’attenzione è tutta sul colore acceso. In carta a 22 euro.
I secondi oscillano invece tra il Carciofo in due cotture con uovo poché, crema inglese al pecorino e finocchietto, mentre il resto è affidato al barbecue: così il Piccione con purè e scalogno candito, il Polpo con puntarelle, mango e katsuboshi e soprattutto l’Animella di vitello con scarola, acciughe, pinoli e jus al whisky Laphroaig torbato (foto in alto, 31 euro). Davvero ben cotta l’animella, e riuscito il legame con il distillato scozzese. Con un tocco in meno di acciuga, il grado di sapidità del piatto diventa ideale.
Nel menù de Il Vezzo, le alternative per il fine pasto sono due: da un lato uno più “cioccolatoso” (con il bianco Valrhona e il ruby) con anacardi, gelato di zafferano e spuma di avena, che richiama un uovo a occhio di bue; dall’altro un dessert più fuori dagli schemi che parte da un gel di cavolo cappuccio viola, prosegue con un crostino di pane e olio Evo, scaloppa di pera e granella di caramello salato, noci pecan, formaggio bufalotto e gel di menta. Dessert complesso negli ingredienti, forse, ma piuttosto gradevole al palato.
Già nel mirino di palati attenti allo scouting, Il Vezzo in via Guelfa si conferma un ristorante diverso dall’ordinario o dal già visto: non troppo lontano dall’idea di una trattoria, ma allo stesso tempo in grado di riservare interessanti sorprese. In fondo, in un settore in cui non mancano locali in cerca d’identità logorati dall’idea della stella, vedere ristoranti che lavorano bene e con serenità serve anche a ricordarci quali siano le reali priorità di chi fa cucina.