giovedì 25 Aprile 2024
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Perché Il limoncello rivisitato all’estero è “ipso facto” un’offesa all’Italia?

L’Italian sounding miete l’ennesima vittima, il limoncello, nell’indifferenza dei più. Ma ci concediamo una provocazione: perché, al di là del risultato in sé, consideriamo un’offesa all’Italia ogni tentativo di uscire dagli schemi della tradizione?

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Non so se vi è mai capitato di scorrere i commenti sottostanti le videoricette americane. Ogni volta che uno chef Usa bolle la pasta nel latte, mette la frutta sulla pizza o brutalizza qualche altro nostro tesoro enogastronomico, si leva nella sezione commenti un coro unanime di proteste da parte degli utenti italiani.

Ma oltre alla libera reinterpretazione del cibo e allo scandalo che suscita, ne esiste anche un’altra, più silenziosa che nello stesso modo potrebbe turbare. È la rilettura della liquoristica italiana, in particolar modo del limoncello. Infatti questo piccolo gioiello di dolce e amaro è conosciutissimo in ogni angolo del pianeta, ed anche se il suo nome viene spesso impropriamente distorto (limoncino ad esempio è una dizione estremamente comune), non esiste ristorante italiano in giro per il mondo che non lo offra come fine pasto.

Ma da qui a sapere di cosa si parla veramente, corre la stessa differenza che passa tra  la pizza napoletana e la sua sorella con sopra l’ananas. Non parlo di mantenere inalterato l’amore per i limoni di Sorrento, ma almeno quello per i limoni…

Non pare pensarla così Cherry Rocher, la distilleria francese che ha deciso di proporre due nuovi “ limoncellos” , uno al pompelmo rosa e il secondo al mandarino. Niente di più logico, in fondo sempre di agrumi si tratta!

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Rapportato al mondo della cucina è come dire che sempre di pomodoro si tratta, e poco importa se si tratta di salsa o di ketchup. Vorrei che fosse un esempio teorico, ma ci sono migliaia di spaghetti brutalizzati ogni giorno in giro per il mondo in base a questo ragionamento. L’azienda ne consiglia anche l’uso nei cocktail, soprattutto con gin e acqua frizzante, un idea a cui non riesco a dirmi contrario di principio, anzi, forse la più riuscita in tutta l’operazione.

La distilleria Janot d’Aubagne, sempre in Francia,  ha deciso di ampliare la propria gamma di liquori di ispirazione italiana a marchio Sorrentini (temo non colgano l’ironia nel nome…) con un limoncello pepato chiamato Limon pepper.

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Anche se in questo caso l’agrume è corretto, il tocco di originalità non pare ne così rivoluzionario né così azzeccato. Questa ricetta, frutto di una macerazione di pepe, va ad affiancare la verde referenza di limocello al lime.

Da giornalista mi pongo due dubbi, uno patriottico e uno autocritico. Parto dal secondo: siamo noi Italiani a volte ad essere troppo dogmatici ed ecumenici, fissati con le nostre origini e le nostre materie prime? Restando così ancorati alla tradizione non corriamo forse il rischio di perdere possibilità di crescita, di innovazione, di conquista di nuovi mercati? Il mondo si muove anche se noi restiamo fermi, a quanto pare…

Il secondo dubbio, quello più patriottico, è il seguente: perché non riusciamo a difendere i nostri nomi e il valore del made in Italy? Come mai quasi nessuno – tranne forse Coldiretti e Cna – storce il naso se un formaggio qualsiasi viene chiamato mozzarella o una marca di pasta spagnola (con un nome italiano) è la seconda più venduta al mondo? L’italian sounding è un problema per il nostro comparto agroalimentare, e forse più che scandalizzarci come puritani davanti all’innovazione discutibile, dovremmo preoccuparci che venga proposta con un altro nome, salvaguardando il nostro patrimonio.

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