venerdì 26 Aprile 2024
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Otto territori, otto prodotti, cinque regioni, un fattore comune: l’eccellenza

A Sori (Genova) la rassegna Fattore Comune mette insieme le eccellenze agroalimentari che rendono il prodotto sinonimo stesso del territorio in cui nascono

Cos’hanno in comune due formaggi piemontesi, una focaccia ligure, una pasta marchigiana, i salumi emiliani, un salame lombardo, marroni romagnoli e un vino piemontese? Non è un indovinello, bensì la vexata quaestio che sta alla base stessa di una manifestazione dedicata a quelle produzioni d’eccellenza italiane in cui il nome del territorio di riferimento diventa elemento imprescindibile del prodotto in sé, fino a farsene sinonimo. Complicato? Beh, pensiamo a Recco e a come sia sinonimo della celebre focaccia (al punto che c’è chi esce dall’autostrada apposta per fermarsi a prenderne una teglia), oppure a come Campofilone sia uscito dall’oblio grazie… a un maccheroncino.

Foto Claudia Oliva

Ecco perché la risposta alla domanda iniziale è una e semplice: l’eccellenza. Già, perché gli otto casi che raccontiamo – selezionati dalla 7° edizione della rassegna Fattore Comune, in scena a Sori (Genova) – mostrano come avere una DOP o una IGP sul territorio sia un elemento tutt’altro che marginale per riuscire a creare un autentico marketing territoriale. Prodotti identitari, quindi, in grado di diventare sinonimo del toponimo di riferimento. Un po’ come dire la “Bologna” per indicare la mortadella.

Robiola di Roccaverano DOP (Piemonte)

In provincia di Asti, tra le province di Alessandria, Cuneo e Savona, la Langa più “selvaggia” (meno vigneti, più boschi) nasce la Robiola di Roccaverano. Quindici anni fa nel territorio non c’erano più ristoranti aperti né troppe attività commerciali aperte, poi la robiola ha fatto da motore allo sviluppo stesso del territorio. Di origini antichissime, la robiola di Roccaverano si è saputa rinnovare nel tempo vedendo aumentare la produzione (500mila forme rispetto alla metà di 10 anni fa), con un disciplinare ultrarestrittivo che individua razze autoctone di animali e zone di pascolo, ad esempio. Ed è così che oggi la si produce in 14 aziende agricole sparse tra non più di 10 Comuni, ed è persino nata una “scuola” in cui si insegna a conoscerla e prepararla.

Maccheroncini di Campofilone IGP (Marche)

Nell’immaginario collettivo sono simili a delle penne, ma in quest’angolo delle Marche – siamo nella provincia di Fermo, tra San Benedetto e Porto San Giorgio – i Maccheroncini di Campofilone sono un tipo di pasta all’uovo tagliata finemente che si mantiene nel tempo perché, grazie al particolare taglio, si secca prima rispetto a una “normale” pasta all’uovo. La componente gastronomica ha portato un incremento del turismo riconosciuto a livello nazionale, grazie alla collaborazione tra i pastai e l’amministrazione comunale. Prossimo passo? La creazione di un consorzio di tutela.

Formaggio di Brà DOP (Piemonte)

Ecco un altro caso di Comune – siamo in provincia di Cuneo – che deve le sue fortune al formaggio. Del formaggio di Brà ne sono due versioni, il duro e il tenero: quest’ultimo ha una stagionatura minima di 3 mesi, e si usa per pasteggiare, mentre il primo ha stagionature minime di 6 mesi (ma a detta degli esperti dà il meglio dopo 8-9 mesi). Se il formaggio si produce nei Comuni limitrofi, è proprio a Bra che vengono affinati.

Salumi Piacentini DOP (Emilia Romagna)

Unico consorzio ad avere 3 DOP (la coppa, il salame e la pancetta) quello dei salumi piacentini è nato nel 1971 e nel 2007 ha ottenuto la DOP. Per le sue 13 aziende promuove e valorizza i tre salumi, e allo stesso tempo collabora alla vigilanza e alla salvaguardia delle tre DOP piacentine dalla concorrenza sleale. Tutto ciò per mantenere il metodo di lavorazione antica, con la salatura a secco, l’aggiunta di poche spezie (per ottenere un prodotto delicato) e la stagionatura prolungata.

Erbaluce di Caluso DOCG (Piemonte)

Punto di forza della produzione dell’Erbaluce di Caluso è l’uso di una varietà importante di vitigni, con 40 aziende vinicole impegnate ogni vendemmia in una raccolta tutt’altro che meccanizzata: una sorta di viticoltura eroica che giustifica ampiamente un prezzo non proprio popolare. La Francia è vicina, nel marketing magari sono più bravi i cugini d’Oltralpe, ma quando parla il bicchiere non ce n’è per nessuno.

Foto Claudia Oliva

Marroni di Castel del Rio IGP (Emilia Romagna)

Già nel ‘500, in questo Comune sull’appennino tosco-romagnolo era conosciuto e apprezzato un particolare tipo di materia prima tipicamente autunnale: il marrone di Castel del Rio ha conquistato l’IGP nel 1956 ma ha da poco varato un nuovo disciplinare che valorizza le dimensioni più piccole. Lo si produce anche a Fontanelice, Casal Fiumanese e Borgo Tassinaro, e si distingue perché la buccia si stacca facilmente dal frutto e ha un colore bruno rossiccio con delle striature marcate più scure. La polpa è dolce e croccante: lo si usa sia come un “pane” che per realizzarne tagliolini, frittelle, castagnaccio e meringhe.

Salame d’oca di Mortara IGP (Lombardia)

Il salame d’oca è un salame ancora poco conosciuto, che arriva da un animale non così legato al mondo dell’alimentazione. Eppure, dicono gli esperti, la dolcezza della sua carne è il valore aggiunto. In fondo l’oca – il maiale degli ebrei (diffuso il kosher), degli arabi e dei musulmani (dove però sussistono problemi legati alla macellazione) – è un animale che non può essere sottoposto ad allevamento intensivo. E così a Mortara si vedono turisti da tutto il mondo, venuti apposta per vedere cosa si può ricavare da un’oca. Non solo foie gras e piumini…

Focaccia di Recco (Liguria)

Last but not least, il prodotto che ha ospitato la rassegna Fattore Comune e che più di altri lega il suo nome al Comune che l’ha visto nascere. Della focaccia di Recco avevamo parlato qui, ma vale la pena ricordare come rispetto a una generica “focaccia al formaggio” che può essere preparata ovunque, in quest’angolo di Liguria tengano moltissimo alla territorialità del prodotto. Più identitari di così….

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