Paolo Lavezzini, il nuovo chef del ristorante del Four Seasons Firenze, racconta in anteprima la sua idea di cucina, la sua storia e i suoi obiettivi. “A Rio mi hanno definito l’italiano più ‘carioca’ che avessero mai conosciuto”
Viene da San Paolo del Brasile, e chissà che per il general manager che l’ha scelto alla guida dei fornelli del Four Seasons di Firenze, il napoletano (e tifosissimo partenopeo) Max Musto, quel nome abbia contribuito a evocare sensazioni positive… Sta di fatto che Paolo Lavezzini è il nuovo chef del ristorante stellato “Il Palagio”. All’erede di Vito Mollica abbiamo chiesto di raccontarci in anteprima alcuni suoi progetti per il prossimo futuro.
Che tipo di cucina dobbiamo aspettarci, al Palagio?
Sicuramente il mio primo obiettivo è conoscere la casa, entrare nei meccanismi del Four Seasons Firenze e continuare il grande lavoro portato avanti da Vito Mollica. Poi in cucina è giusto che ognuno porti le sue caratteristiche: alcuni piatti che sono diventati dei cavalli di battaglia dell’hotel resteranno, soprattutto se è ciò che chiede il cliente, ma mi piacerebbe portare la mia ‘storia’ gastronomica.
Quali saranno i piatti/ingredienti irrinunciabili nella tua cucina?
Sicuramente ci sarà la pasta fresca, retaggio delle mie radici emiliane. Protagonista sarà la stagionalità delle materie prime, perché troppo spesso capita di dimenticarsi dei sapori importanti, in grado di richiamare alla mente ricordi e tradizioni. Tutte le esperienze che uno chef matura nella sua carriera lasciano un segno, e un decennio passato in Brasile mi ha fornito un importante background culturale, perché ho avuto modo di vivere il Brasile dei brasiliani. Pensa che a Rio mi hanno definito l’italiano più “carioca” che abbiano mai conosciuto. Se lì facevamo cucina italiana con ingredienti locali, qui a Firenze vorrei portare una gastronomia contemporanea, che parte dal rispetto della materia prima, con un tocco tropicale: non mancheranno frutta, peperoncino e acidità.
Alla luce delle esperienze pregresse, che rapporti hai con gli chef del territorio?
Ci sono alcuni colleghi che per me sono come fratelli: è il caso di Andrea Mattei, con cui abbiamo iniziato insieme al Byron, prima che lo portassi a Firenze e che ci ritrovassimo successivamente insieme a Parigi. Ora sono con lui al Forte dei Marmi a dargli una mano, per esempio. Con Riccardo Monco invece ci sentiamo quasi tutti i giorni, è un vero amico. Con gli altri chef c’è ancora tanto da costruire: alcuni li ho conosciuti, non ho ancora molti contatti. Non è facile, quando negli ultimi dieci anni sei stato a 12mila km di distanza. Ricomincerò a visitare Firenze: l’ho lasciata con un certo clima gastronomico, dopo tredici anni la ritrovo diversa. Bella da visitare, con chef molto bravi.
Come valuti la ristorazione italiana in generale e fiorentina in particolare, nel post-Covid?
Ne parlavo con diversi amici chef, che in molti casi si aspettavano una ripresa più veloce. Però vedo tanta gente in giro, credo che la pandemia abbia portato un cambiamento più per le abitudini del cliente che per chi è in cucina. La vera difficoltà oggi è trovare personale. A Firenze mi piace frequentare trattorie, per vedere cucina di ‘pancia’, di sostanza: trovo che la Toscana sia cresciuta, nel complesso: ci sono bei nomi in Versilia, da Andrea Mattei a Valentino Cassanelli, mentre a Firenze ho sentito parlare molto bene di Simone Cipriani e Alessandro Cozzolino, andrò a provarli presto.
Come gestirai il passaggio di consegne con Vito Mollica, chef a cui vengono riconosciute enormi doti umane?
L’eredità di Vito Mollica peserà, soprattutto dal punto di vista umano: ha un bellissimo modo di fare, molto affabile, empatico. Ed è un bravo cuoco, naturalmente. Non sarà facile essere il suo alter ego, ma farò del mio melgio. Credo che nel percorso di selezione i vertici del Four Seasons abbiano tenuto in considerazione anche questo aspetto, ossia il rapporto che lo chef riesce a instaurare con il cliente.