Dalla location alla genovese di Gennaro Esposito, dalle pizze di Francesco Martucci alla pasticceria da banco, ecco cinque motivi per andare a provare il Sophia Loren Restaurant a Firenze
Non ci sono più soltanto Maradona, il Vesuvio e Pulcinella, in quell’iconografia di Napoli tanto spesso mutuata in ambito gastronomico, sempre in bilico sul crinale tra l’omaggio e lo stereotipo. Almeno a Firenze, adesso i tre simboli del mood partenopeo diventano una star del cinema (Sophia Loren), uno chef stellato (Gennaro Esposito) e un pizzaiolo di chiara fama (Francesco Martucci). La liasion in salsa campana, abilmente orchestrata dall’imprenditore Luciano Cimmino – presidente di Pianoforte Holding che controlla i marchi moda Yamamay e Carpisa – ha dato vita a Sophia Loren Restaurant, il progetto gastronomico che ha appena aperto le porte a Firenze (e siamo stati i primi a scriverlo, qui) e promette di essere la prima tappa di un programma che nei prossimi anni dovrebbe arrivare anche a Napoli, Milano, Miami, Dubai e Shanghai.
L’abbiamo provata a pochi giorni dall’apertura, con tutto ciò che comporta in termini di rodaggio, e dopo aver testato il locale possiamo suggerirvi – con le foto di Luca Managlia – i cinque motivi per andare a provare il Sophia Loren Restaurant:
1) La location
Beh, a una manciata di passi da piazza della Repubblica e la Cattedrale di Santa Maria del Fiore qualche decina di metri più in là, non poteva esserci una location più felice per una pizzeria destinata a far incrociare i desideri di fiorentini e turisti. Persino in un periodo di tempo incerto e restrizioni sanitarie, i 60 coperti all’esterno – ben riparati dai portici, nei locali dove sorgeva la banca Unicredit – ruotano con velocità e fanno quasi dimenticare la contingenza di pranzare col cappotto.
Quando si potrà mangiare all’interno, ci aspettano i 1.500 metri quadrati con almeno altri 250 coperti e la gigantografia di donna Sophia che campeggia sui muri e sul logo, nella versione dall’Oro di Napoli.
2) La cucina campana tout court
Il tris è servito: se la cucina del Sophia Loren Restaurant è griffata da Gennaro Esposito, due stelle Michelin a Vico Equense con la sua Torre del Saracino, le pizze portano il segno di Francesco Martucci, patron dei Masanielli di Caserta. In quanto ai dolci, il pastry chef che firma i dessert è un altro pezzo da novanta, Carmine Di Donna. Nei due anni di lavori (e tre milioni di investimento) sono compresi anche i forni, letteralmente costruiti in loco su precisa indicazione di Martucci.
Al di là della pizza, cui dedichiamo un paragrafo a sé, il menù è una summa della cucina campana: gli antipasti propongono montanare (classiche e alla genovese, ci torneremo su) e bocconcini di baccalà fritto insieme a scarola marinata e “cianfrotta”, mentre tra i primi spiccano evergreen napoletani come la pasta con fagioli e cozze o i mezzi paccheri con carciofi, pancetta e provola.
3) Il sugo alla genovese
Non ci sono storie: nell’economia del menù di Sophia Loren Restaurant, uno spazio a parte lo merita la genovese. Questo sugo tradizionale campano a base di carne e cipolla, autentico elogio della lunga cottura, si trova in due distinte varianti: una – come detto poco sopra – a guarnire la montanara, nella versione di Martucci; l’altra, invece firmata da Esposito, che va a condire gli ziti insieme alle scaglie di pecorino.
Al netto di un impiattamento che non cede alle lusinghe del fine dining contemporaneo, lo chef ci spiega che sono ben 10 i tagli di carne usati in cucina per realizzare questo condimento. E in bocca si sentono tutti: difficilmente a Firenze si può mangiare una genovese di questo livello, se non si ha la fortuna di una mamma/nonna/zia cresciuta al Vomero o a Mergellina. Il prezzo, 11 euro, è un ulteriore invito a provarla.
4) La pizza del Sophia Loren Restaurant
“Ma come? Racconti di una pizzeria e metti la pizza solo al quarto posto?”. Eh, sì. Perché è su questo punto che le aspettative si fanno davvero alte. Sia in una città che già annovera ‘concorrenti’ come Giovanni Santarpia, Romualdo Rizzuti, Marco Manzi o la new entry Gabriele Dani, sia in termini assoluti. E le promesse sono mantenute, specie per quanto riguarda l’impasto: uno dei migliori in città, oggi. Sul fronte prezzi, si parte con i 7,50 euro della Margherita e i 7 euro della Marinara, ma tutto il resto del menù è sopra gli 11 euro (fino ai 16 euro).
Abbiamo provato la “Mani di velluto” (crema di friarielli in acqua di ricotta di bufala, mozzarella di bufala campana Dop, salsiccia di suino grigio tagliato a punta di coltello, calcagno a crosta liscia) e la “Insolita Marinara” (pomodoro San Marzano Dop, olive nere caiazzane, capperi di Salina e origano. Poi a fine cottura pomodorini secchi, alici di Trapani, stracciata di Corato e basilico), con una particolare predilezione per quest’ultima: equilibrata e leggera, impasto morbido ma non gommoso, disco asciutto ma non secco.
5) La pasticceria da banco
Il menù dei dolci del Sophia Loren Restaurant è di quelli che, specie in una città non particolarmente vocata alla pasticceria da banco, ti fanno venir voglia di allungare il cammino per venire a ordinare una vassoiata da portare a casa. Merito di dolci al cucchiaio come la classica Delizia al limone e di un banco piuttosto assortito (babà, zeppole, cassatine, cannoli, sfogliatelle, aragoste, ecc…).
Una riflessione, infine: nonostante abbia i marchi di fabbrica di cucinieri di fama come Gennaro Esposito e Francesco Martucci, il Sophia Loren Restaurant non ti sbatte in faccia stelle e spicchi, né intende mostrare alcuna volontà di replicare i fasti dei Masanielli o della Torre del Saracino. Non ha alcuna pretesa dichiarata di innovazione, come del resto testimonia la scelta di affidarsi nel nome e nel logo a un’icona sì dell’italianità, ma che non si può certo dire rappresenti il nuovo che avanza (alle giovani generazioni non italofone, ad esempio, l’immagine di Sophia saprà trasmettere gli stessi simboli a cui noi – over 40 e cresciuti a pane e tv – la colleghiamo immediatamente?).
In attesa di scoprirlo, resta il piacere per il debutto a Firenze di un nuovo luogo della pizza, ma soprattutto di un ristorante vocato della cucina campana, semplice e saporita.