Dopo un restyling sostanziale e un cambio di filosofia produttiva che ha messo al bando le barrique per cercare eleganza e linearità dei vini, l’azienda agricola Dievole di Castelnuovo Berardenga (Siena) ha presentato le nuove bottiglie
Cambio radicale di passo, per l’azienda agricola Dievole di Castelnuovo Berardenga, nel Senese: da quando a fine 2012 è subentrata la nuova proprietà, rappresentata dal petroliere italo-argentino Alejandro Bulgheroni (gruppo Nuevo Maniantal), l’azienda ha diviso i propri investimenti tra un progetto di sviluppo legato all’olio extravergine e una nuova gamma di etichette di Chianti Classico, abbracciando in entrambi i casi una nuova filosofia produttiva. Un cambiamento che si è tradotto in un ampliamento dei vigneti – attualmente 95 ettari in produzione, su un totale di 121, e l’obiettivo di arrivare a 200 ettari entro il 2020 – e una riqualificazione organica dei suoli che strizza l’occhio al mondo “bio”, oltre a una serie di reimpianti, una riorganizzazione complessiva della cantina e un nuovo look per le etichette.
In modo particolare, il presidente Enrique Almagro ha deciso di far invecchiare il vino solo nelle botti di rovere francese, mettendo al bando le barrique per limitare l’impatto del legno sul vino in omaggio a una maggiore eleganza e linearità tipiche di una visione classica del Chianti Classico. La fermentazione è naturale, con lieviti indigeni. La nuova produzione – che gli amanti di Dievole potranno scoprire già dalla vendemmia 2014 – si concentra su due vini rossi: il Chianti classico e la Riserva. Tra gli obiettivi futuri c’è quello di ampliare il ventaglio con l’equivalente di una “gran selezione”, ossia vini prodotti da singoli cru. «Il nostro obiettivo – spiega Almagro – è esaltare la naturale identità dei vini che nascono nei nostri vigneti», precisando che i canali di vendita saranno solo quelli tradizionali, enoteche e ristoranti.
Se tutto andrà secondo le previsioni della dirigenza, nel giro di 3-4 anni l’universo Dievole (che oltre alla cantina e al frantoio conta il ristorante e l’agriturismo) potrebbe raddoppiare i fatturati, oggi intorno ai 6 milioni, e aumentare in maniera significativa il numero di bottiglie, attualmente diviso tra le 150mila ereditate dalla “vecchia” gestione e altrettante frutto della nuova impronta data da Bulgheroni. Una dualità tra vecchia e nuova “mano” che è ben percepibile nei vini che abbiamo assaggiato pochi giorni fa, ancora in fase di transizione. La base resta il Sangiovese, che copre l’80% della superficie vitata, curato dall’agronomo Lorenzo Bernini e tagliato con il Canaiolo, Ciliegiolo e Colorino dagli enologi Alberto Antonini e Giovanni Alberio.