foto di Luca Managlia
Sono passati oltre sei anni da quando per la prima volta il nome dello chef Marco Lagrimino si affacciò sulla piazza enogastronomica, aprendo – insieme alla compagna di sempre Nadia Moller – il Momio, nell’Oltrarno fiorentino. Da allora tante cose sono cambiate, e il percorso dello chef laziale si è spostato prima all’Osteria del Castello di Volpaia e poi (più o meno all’inizio della pandemia) in Umbria, alle porte di Perugia, al ristorante L’Acciuga oggi stellato Michelin, esempio del piccolo rinascimento del fine dining regionale.
Ciò che non è cambiata – ma al massimo si è evoluta – è la mano felice dello chef classe ’85, a suo agio nel trasformare la materia prima in maniera gentile e complessa al tempo stesso, senza stravolgerla ma proponendola in una chiave mai banale grazie ad accostamenti pescati nel territorio e/o fuori dal mainstream. A dargli man forte Nadia, che arricchisce la sala con immutato garbo.
A ben vedere, L’Acciuga non è un locale ordinario, da più punti di vista. Intanto per la posizione in sé: non accade molto spesso, infatti, che la Michelin premi con la stella ristoranti situati in una zona cittadina non certo privilegiata. Ci troviamo in periferia, con le auto che sfrecciano a poca distanza, ma va dato atto a Marco e Nadia di aver saputo superare questa contingenza.
Poi è singolare la struttura in sé, che tanto all’esterno quanto all’ingresso richiama atmosfere marinare e suggestioni vacanziere – dall’angolo bar alle divise di sala, dal pavimento in assi di legno fino al cordone del corrimano e al colore bianco dominante – proprio nell’unica regione italiana (insieme alla Val d’Aosta) non bagnata dal mare.
Originalità nei dettagli, quindi, che si ritrova anche nei piatti di Marco Lagrimino. Sia in quelli della carta (antipasti e primi da 25 a 27 euro, secondi da 37 a 40 euro, dessert a 15) sia quelli dei due menù degustazione: i loro nomi – “Conoscersi” (5 portate a 80 euro) e “Fidarsi” (7 portate a 95 euro) sono in fondo gli stessi dei tempi del Momio, a riprova che certi frammenti del passato è bene continuare a portarli con sé.
Tra gli antipasti, ça va sans dire, c’è anche quell’acciuga in cui Marco e Nadia hanno intravisto il paradigma della propria ispirazione: pesce povero, sì, ma ricco di qualità. Viene proposta in una selezione – macché Cantabrico, si va dal Cilento a Reggio Calabria e Siracusa – con pane all’avena, giardiniera e burro montato.
Dopo l’amuse bouche in cui spiccano le carote alla Viterbese, antica ricetta medievale che prevede marinatura nelle spezie, il percorso dell’Acciuga parte con la trota marinata con sale e zucchero accompagnata da barbabietola, le sue uova e kefir affumicato. Piatto fresco, delicato e aromatico, con una punta d’intensità quando le uova finiscono sul palato.
Come alternativa, tra gli antipasti, non mancano le due varietà di zucca (butternut e mantovana) e altri elementi (olio, semi e succo) dello stesso ortaggio, accompagnati dal formaggio “intruso” stagionato un anno, tipico del territorio (Caseificio di Montecristo), e cardoncelli in polvere.
Se c’è un piatto che da sempre è nelle corde di Marco Lagrimino, è il risotto. Qui all’Acciuga lo chef lo propone cotto in un brodo di fieno e camomilla, poi mantecato col burro e limone salato, formaggio Magnus di pecora, e un fondo di sedano rapa. Piatto intenso, con l’amaricante come nota prevalente, ma mai sopra le righe.
L’alternativa qui è rappresentata dai cardoncelli prima cotti al vapore, lasciati a riposare per 48 ore, infine grigliati e laccati con glassa di funghi. Completano il piatto crema di noci, olio di elicrisio e bacche di sambuco sciroppate. Un piatto complesso, dalla spiccata terrosità e denso dell’essenza stessa del fungo.
Anche i secondi mostrano l’abilità di Marco Lagrimino di superare le barriere di carne e pesce proponendo una triglia in crosta di pan brioche con patè di fegato di coniglio, riduzione di prugna, spinacino grigliato e salsa allo zafferano. Un piatto che testimonia come lo chef resti a suo agio anche quando è alle prese con ingredienti di grande personalità.
Infine il petto di piccione, forse reminiscenza degli anni toscani dello chef e della sua esperienza chiantigiana. La versione che Marco ha portato a Perugia comprende lattuga grigliata, glassa all’arancia e un fondo di vermouth chinato: il piccione si accompagna a un pan brioche, patè di fegatini e coscia di piccione sfilettata.
Chiudiamo con un dessert decisamente in linea con le precedenti portate, formato da una spuma d’aglione, gelato ai fiori di finocchietto, polline e crumble al mais. Un fine pasto dalle note vegetali, niente affatto “cioccolatoso”, mai troppo dolce. Anzi, gentile. Come gentile è la mano di Marco Lagrimino, salda al comando nel nuovo corso dell’Acciuga.