La notizia era nell’aria, ma – come spesso succede in questi casi – speri sempre che il destino conceda sempre qualche momento in più, se proprio lassù nessuno se la sente di compiere un miracolo. Invece purtroppo è successo ciò che temevamo: alle 12.30 di oggi, in un piovoso mattino di ottobre ci ha lasciati l’amico e collega Kyle Phillips. Da oltre un anno era malato, ma fino alla fine ha combattuto con radioterapie e chemioterapie che pian piano gli avevano tolto anche uno dei più grandi piaceri della vita, il sapore del vino. L’amico Carlo Macchi (qui) ci informa che Kyle è spirato tra le braccia della moglie Elisabetta, con accanto i due figli.
Ricordo che conobbi Kyle diversi anni fa, quando iniziai a occuparmi di enogastronomia per il Giornale della Toscana. Eravamo a una degustazione, ma di quella serata non mi tornano in mente molti particolari. Di lui mi colpì un aspetto, più di ogni altro: sebbene fosse americano di nascita (anzi, “amerihano”), e sempre molto attento a ciò che succedeva oltreoceano, l’amore per la Toscana gli aveva fatto prendere un curioso dialetto toscano. Scriveva per Italian Wine Review, ma se non fosse per il suo uso (rado) dell’inglese nel parlare quotidiano, in pochi lo avrebbero detto statunitense. Al limite inglese, per lo humor sottile che tirava fuori quando meno te lo aspettavi, tra un bicchiere e l’altro. Un gigante buono dagli occhi chiari e il sorrido confortante, che ricordo a suo agio con ampie camicie quadrettate e la macchina fotografica a tracolla.
C’è un episodio, che non dimenticherò facilmente: eravamo insieme in un noto locale del centro di Firenze, il Golden View, per una serata dedicata ad assaggi “alla cieca”. Ognuno dei commensali avrebbe dovuto portare una bottiglia di Barolo, e io andai a ritrovare nella cantina dei miei genitori una bottiglia del ’73 tenuta piuttosto male, a partire dal tappo ormai quasi consumato. “La porterò come pietra di paragone, in negativo” pensai, anche perché non immaginavo altro destino possibile per una simile bottiglia. Arrivai lì e scaraffai, facendo attenzione a coprire l’etichetta. Lo versai e Kyle, assaggiando quel vino, riuscì a indovinare persino l’annata. Rimasi a bocca aperta, e lui sorrise.
Negli ultimi tempi della malattia, aveva confidato agli amici che la cura gli aveva gradualmente tolto il sapore del vino, rendendogli amarissimo al palato ogni tannino. Per lui, appassionato di vino, dev’essere stato terribile. Ora che non c’è più, non posso che onorarne il ricordo brindando – con una bottiglia buona, magari il prossimo ’73 che incontrerò sulla mia strada – alla sua memoria.
Addio, Kyle.