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Aspettando il Giubileo 2015: la tavola di Clemente VII

In attesa del Giubileo 2015, anticipato dalla visita a Firenze di Papa Francesco, sfoglierò preziosi incunaboli o rari fogli bisunti di ricettari ingialliti, polverosi, dimenticati tra pentole e fornelli nelle cucine papali, per cercarvi curiosità, ricette inedite, segreti golosi, venalissimi peccati di gola di coloro che – dall’alto del Soglio di Pietro – fecero la storia della Chiesa, ma anche, in molti casi, quella della civiltà della tavola. Partiamo con Clemente VII

La Tavola di Clemente VII (Firenze 1478 – Roma 1534)

Clemente VII

Comincio proprio da un Papa fiorentino: Clemente VII, Giulio de Medici figlio di Giuliano che la Congiura dei Pazzi del 1478, rese orfano appena nato. Fortunatamente crebbe sotto l’ala del grande Lorenzo il Magnifico. Avviato alla carriera ecclesiastica, il cugino Papa Leone X che ne aveva intuito le doti di economista e di scaltro politico, lo volle accanto a se. Questo tirocinio gli fu utilissimo, quando, diventato, a sua volta pontefice, dovette barcamenarsi in un momento difficilissimo della storia dell’Italia, strattonata fra le ambizioni della Francia e lo strapotere dell’Imperatore Carlo V, sulle cui terre non tramontava mai il sole. Lascio questo complesso intricato momento delle vicende del’Europa agli storici e agli studiosi di geopolitica, ma mi limiterò alla banale visione di tavole apparecchiate, banchetti sontuosi, segreti golosi e ai significati culturali e politici che spesso ci rivelano.

Con il pontificato di Papa Clemente VII, Roma era diventata una vera capitale europea, un crogiolo di incontri delle più alte personalità, non solo della Chiesa, ma anche della politica, dell’arte e della cultura. Alla sua corte transitarono personaggi come Guicciardini, Machiavelli, Copernico, ma anche Raffaello, Michelangelo, Rosso Fiorentino, Sebastiano del Piombo e Cellini, che cesellò per lui un magnifico calice. In questo clima di esaltazione onnipotente di Roma Capitale, l’opulenza, anche gastronomica, il lusso, il tenore di vita fastoso erano l’aspetto caratteristico della corte papale in cui l’evento conviviale divenne l’espressione di potere in uno spettacolo sfarzoso. Neppure il Sacco di Roma (maggio 1527) dei feroci Lanzichenecchi di Carlo V, che lo vide fuggire a gambe levate dalla città messa a ferro e fuoco, travestito da vivandiere col cestino delle provviste sotto braccio sembrò non scalfire più di tanto Clemente VII.

Tra un banchetto e l’altro e tra e i suoi alti obblighi canonici, l’astuto Pontefice, conduceva la sua politica familiare, combinando matrimoni eccellenti (Caterina de Medici con il Delfino di Francia e il nipote Alessandro con Margherita figlia di Carlo V) portando sempre più alto il nome della famiglia e il suo potere. Capolavoro diplomatico il matrimonio di Caterina con Enrico II di Valois ( 1533)! Con lei e i suoi cuochi, pasticceri, gelatai toscani e con il loro bagaglio di sapienza saporita giunsero in Francia le antiche ricette della cucina fiorentina, come Il Paparo alla melarancia e La Carabaccia all’Antica, che ancora oggi trionfano sulla tavola parigina diventati Canard à l’orange e Soupe d’oignons! Ma l’uso della forchetta ignorata oltralpe, fu davvero il colpo maestro che la giovane Medici sferrò alla mise en place dei francesi. Gli anni del papato di Clemente VII cotituiscono l’età dell’oro della tavola e della gastronomia italiana che godettero un prestigio forse mai più raggiunto.

Fagioli dal Nuovo Mondo

Fagioli

Aperto alle novità culinarie che arrivavano dal Nuovo Mondo, ne fu un attento osservatore e un assaggiatore curioso. Quando un ambasciatore proveniente dalle Americhe gli portò in omaggio un sacchetto di grossi semi a forma di rene, subito il Papa buongustaio li affidò al canonico Pietro Valeriano, botanico e pollice verde della Santa Sede. Questi li studiò per benino, li seminò seguendone con cura meticolosa la germinazione, finché esplosero grandi e lucenti i fagioli americani, di fronte ai quali, gli autoctoni fagioletti “con l’occhio” facevano una ben magra figura. Felice della sua fortunata impresa il pollice verde vaticano chiede udienza al Pontefice e trionfante glieli presentò addirittura “stuffati”. Clemente VII li gustò e li apprezzò moltissimo, anzi li offrì ai cardinali presenti alla sua nobilissima ricca mensa, dove solitamente trionfavano fagiani ricoperti d’oro, pavoni cotti con pelle e piume, rari pesci d’acqua dolce, storioni in pottaggio con prugne, pasticci di corvi  ed altre squisitezze del genere, la modesta ricetta del botanico non sfigurò affatto anzi, fu accolta con grande plauso e applausi per il cuoco. La ricetta era più o meno questa:

“Lessare i fagioli,(se secchi vanno tenuti a bagno per una notte) , in una teglia mettere olio d’oliva, due spicchi d’aglio e qualche foglia di salvia. Far soffriggere, aggiungere i fagioli lessi. Portare a bollore piano piano, rigirando ogni tanto per dieci minuti, aggiungere sale e pepe”

Cioccolata per il Pontefice

Cioccolato

Al troppo privilegio che ebbe Papa Medici fu quello di essere tra i primi a conosce, assaggiare e apprezzare la cioccolata e introdurla a Firenze e a Roma. Era il 1523 quando Petrus Martyr de Angleria, al seguito di Ernan Cortés, gli inviò una dettagliata informazione sul Nuovo Mondo soffermandosi sulle meraviglie dei semi di cacao e della deliziosa e utile bevanda che se ne poteva trarre. Il cacao così diventava una sontuosa bevanda degna di deliziare anche i nobili palati medicei. Se ne favoleggiava poi delle straordinarie proprietà terapeutiche: pare che con questa si potesse curare il mal di stomaco, la febbre, le malattie nervose, la tosse, l’insonnia, il mal di reni, e che poteva dare conforto a quelli che “avevano bevuto qualche sorso di troppo alla coppa della volutta” perché non provarlo!

Ecco un antica ricetta fiorentina che ci segna come prepare e gustare una tazza di cioccolata.

“Mettisi a scaldare sei once d’acqua di fonte con sei grammi di zucchero e allora che ha bollito si mettono grammi sei di cioccolata grattugiata, ovvero polvere. Mestate bene col molinetto di legno. Doppo si rimette al fuoco sin che ritorni a bollire e si mesta per bene. Poi si mette in una tazza e si beve adagio, poco a poco calda… comodamente” ( Da Colore e sapore. Edizioni Airc Parma)

Nel calice di Clemente VII

Alchermes

Nel calice del Papa buongustaio scintillava l’amatissimo Chianti delle sue terre che, fidati corrieri, in botti, portavano nelle cantine papali, e da qui, per la sua gioia e quella dei suoi augusti commensali, illuminava e accompagnava tutte le superbe imbandigioni di carni aromatizzate, arrosti dorati, pasticci, paste ripiene, biancomangiare e torte del suo ricco e saporito menu.

Concludo questo ritrattino rivelando un suo peccatuccio di gola. Amava moltissimo l’Alchermes. Questo liquore dal colore rosso cardinalizio e dal nome derivante dall’arabo Alqirmiz, ottenuto dalla distillazione di ambretta, cannella, garofano macerati in alcool, uniti a estratto di gelsmino, iris e acqua di rosa e colorato con la cocciniglia, se lo faceva mandare a Roma.

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