venerdì 29 Marzo 2024
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Bufale, teasing, classifiche compulsive: il declino del giornalismo

Dalle bufale che svelano il drammatico indice di creduloneria dell’utente medio di internet, fino ai siti acchiappa-clic o alla mania di stilare una classifica di qualsiasi cosa si muova, abbia un nome o respiri: ecco alcuni – solo alcuni – dei drammi dell’informazione contemporanea, che svelano il declino del giornalismo

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Il dramma vero è che il fenomeno corre così veloce che per descriverlo ci tocca parafrasare un Jovanotti prima maniera: “Quando li cattura una definizione, il mondo è pronto a una nuova generazione”. Generazione di inganni, illusioni e aria fritta a volontà, per la precisione. Perché di questo si parla: ogni volta che qualcuno condivide una delle mille bufale su Facebook o clicca sull’immagine del vip in lacrime incuriosito da scritte come “Non crederai mai a cosa gli è successo”, qualcuno crea un danno. E voi – sì, proprio voi – ne siete complici. Se una volta la tendenza della rete era incuriosire, accaparrarsi una fetta del “mercato dell’attenzione”, adesso questo meccanismo sta raggiungendo gli eccessi più patologici. Visto che vanno tanto di moda le classifiche, e in fondo sono il male minore, ecco il podio delle cose che rendono internet la tomba dell’informazione e del giornalismo, in rigoroso ordine crescente.

5) Massimo risultato, minimo sforzo: l’effetto nostalgia (canaglia)

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Com’erano le star del cinema da bambini? Che fine hanno fatto i concorrenti del Grande Fratello? Dov’è finito quel cantante/attore che X anni fa faceva impazzire le folle? Qual è stata la notizia più letta dell’ultimo mese? Rivediamo chi ci ha abbandonato quest’anno (utilissima intorno al 29 dicembre) oppure “Ecco le immagini più commoventi dei film degli ultimi 50 anni”. E potrei andare avanti a lungo. Non c’è sito che non pubblichi, con frequenza ormai imbarazzante, amarcord di tutto ciò che non è più. Musica, cinema, arte, tv, intrattenimento: il format delle matricole & meteore (o de “I migliori anni”, fate voi) ha abbandonato il piccolo schermo per avventurarsi in una nuova missione sul web. Farci commuovere, certo. Ma anche ricordarci che il tempo passa, senza farci troppo male.

4) Medaglia di legno: le classifiche compulsive

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Partiamo da un presupposto: le classifiche piacciono, e non più tardi di un paio d’anni fa venivano indicate dagli esperti di social media marketing come uno strumento sicuro per attirare la curiosità del lettore. E come tutte le cose, se usate nella maniera e nella misura giusta non ci sono controindicazioni. Da quel momento, però, in un crescendo rossiniano chiunque ha avuto qualcosa da dire è stato praticamente obbligato a formulare il suo pensiero in forma di classifica, graduatoria, ranking et similia. In altre parole, per descrivere un prato oggi si stila la classifica delle 5 cose che trovi in un prato, con risultati tra il ridicolo e il demotivante. Qual è il problema per l’informazione, direte voi. E’ presto detto: se la classifica ha una sua ragione d’essere, ok. Ma quando mettere in fila dati serve solo a creare curiosità, svanisce facilmente l’essenza stessa della graduatoria e dunque ogni classifica diventa una raccolta incolonnata tanto più forzata quanto più è difficile arrivare a quota 5 (nel caso delle top five) o 10 (i famigerati decaloghi). Roba ossessivo-compulsiva, insomma. E lo sputtanamento, cari colleghi, è dietro l’angolo.

3) Medaglia (e faccia) di bronzo: i siti emozionali acchiappa-clic

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Alzi la mano chi non c’è incappato almeno una volta: la selvaggia “caccia al clic”, quella spasmodica ricerca di consenso (da quantificarsi in visualizzazioni di una pagina web o di like su Facebook) che si sta ritagliando uno spazio come nuovo sport nazionale, rischia di generare più danni del solito. Come ho scritto di recente su Strade, il social network è invaso da spazi a pagamento che fanno leva sui sentimenti più diversi pur di strappare un clic. A volte lo spunto è anche vero, ma la “notizia” è talmente stiracchiata (quando non addirittura usata come paravento) per gettare un amo ai tonni che abbondano nel cyberspazio. A volte basta pochissimo per sollevare un polverone in cui sguazzano pressapochisti e sensazionalisti, agendo su due fronti paralleli e andando a toccare corde sempre sensibili tanto per la tradizionale casalinga di Voghera quanto per la sua versione 2.0, la cybercasalinga. Abbiamo registrato due canali principali: quelli che agiscono sulle emozioni negative (paura, rabbia, insicurezza, morbosità, voyeurismo) e quelle che invece spingono sul pedale dei buoni sentimenti ad ancora più buon mercato. E’ il caso – patetico – di “Queste foto ti cambieranno la vita” o “Dopo aver visto queste foto nulla sarà più come prima”. il problema per il giornalismo? Altro che epifanie, rivelazioni e immagini ispiratrici: si tratta ovviamente soltanto di illusioni e menzogne, di iperboli talmente smodate che se dopo la decima delusione (eh sì, cari gattini coccolosi, la vita non cambia con così poco…) uno smette anche di credere che qualcosa (o qualcuno) possa davvero ispirare le nostre vite e spingerci a essere persone migliori.

2) Medaglia d’argento: le bufale online

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Premesso che l’unica bufala che ci piace è quella bianca, rotonda e che non va tenuta in frigo, da qualche tempo è diventata una perversa tendenza della comunicazione in rete: il meccanismo della viralità delle informazioni, unito al pervicace lassismo del “copia-e-incolla” tanto vituperato da Google, porta in giro per il web una (non) notizia sia su una miriade di blog, siti e portali di basso cabotaggio (per i quali una verifica delle fonti è troppo impegnativa né deontologicamente richiesta a chi non è giornalista) sia soprattutto sulle bacheche dei social network. E se le bufale circolano liberamente, ad essere danneggiate sono diverse categorie di persone: chi le scrive, perché sceglie di barattare il vantaggio monetario nel breve periodo (i clic della pubblicità) con una credibilità a lungo termine; chi le condivide e contribuisce a mandarle in giro, perché nel migliore dei casi passa per un boccalone e nel peggiore fa sfociare il tutto in improbabili interrogazioni parlamentari; chi si sforza di fare informazione seria online, perché nella vulgata comune viene facilmente equiparato alla pletora di cialtroni da cui cerca di prendere le distanze.

1) L’antitesi del giornalismo: i siti farlocchi pseudo-scandalistici

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Un corollario interessante del fenomeno delle bufale sono quelle artatamente costruite e divulgate da siti che, ben lontani dal dichiararsi satirici o votati alla contro-informazione, vengono creati apposta con lo scopo di confondere il lettore più basico e fargli iniziare il domino delle condivisioni a catena sui social. Oppure quei siti che hanno sezioni come “Video Shock” o “Notizie Shock”, spesso creati per far leva sulla morbosità di chi guarda. Novelli imbonitori, inseguono il proprio tornaconto ma con un danno collettivo enorme. Un distinguo è necessario, oltre che utile: ci sono molti blog satirici che, pur ricalcando la grafica e l’impaginazione delle testate originali, dichiarano chiaramente la falsità dell’articolo e la produzione a fini meramente umoristici. Sono parenti molto stretti dei già citati “attira-clic”, costruiti con l’unico scopo di portare visite e contatti – di conseguenza pubblicità e qualche euro – al sito. Come ci riescono? Come detto, cercando di suscitare sentimenti di rabbia, odio, paura, curiosità, eccitazione e così via. Basta un giro veloce in internet per ritrovare decine di post-bufale su politici, immigrati o rom i cui commenti esacerbano gli animi della cybercasalinga (la cui testa, affatto virtuale, vale un voto proprio come la tua e la mia) e ne orientano le scelte sociali e politiche. Proprio in un momento in cui, forse, le tensioni sociali hanno un prezzo un po’ più alto della manciata di euro che i sedicenti “direttori” delle testate incassano esentasse ogni giorno senza rischiare praticamente nulla.

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