Buona la prima, per il nuovo chef del Palagio (Four Seasons Hotel Firenze): un menù territoriale sancisce la capacità di stare in equilibrio tra l’eredità e il nuovo corso del ristorante in Borgo Pinti
foto di Luca Managlia
Ha passeggiato, Paolo Lavezzini. Ha misurato a passi lunghi il giardino della Gherardesca, che circonda in un abbraccio il Palagio del Four Seasons Hotel Firenze, ed ha capito che gli aromi di quel microcosmo vegetale nel cuore della città sarebbero stati tra i protagonisti del suo primo menù fiorentino, la prima carta firmata da qualcuno che non fosse Vito Mollica. Un’eredità pesante con cui confrontarsi, certo, ma lo chef venuto dal Brasile ha le idee chiare: da un lato segnare una “rottura” con ciò che è stato, dall’altro far sì che quanto ha reso celebre il Palagio non vada perduto. Un gioco di equilibri che lo chef emiliano ha eletto a imperativo, nella necessità di proporre la sua propria via gastronomica.
Ed eccolo, il nuovo Palagio griffato Paolo Lavezzini. Il team è sempre di altissimo livello, tra vecchi (in primis il sommelier Walter Meccia o l’F&B manager Alessio Anedda) e nuovi attori, come la hotel manager Sandra Oliva o il pastry chef Mariano Di Leo, già assistente (e compaesano) di Domenico Di Clemente, tornato a Firenze dopo una parentesi al FSH Park Lane di Londra. L’ambiente mantiene la classica eleganza del Four Seasons, che i fiorentini potranno tornare a scoprire nel brunch – di cui è allo studio una formula ad hoc, che consenta di rispettare i rigidi protocolli interni in fatto di sicurezza – ma non nell’Open Day invernale, che invece salterà un turno.
Il menù del Palagio, che punta su una tipicità delle materie prime più che su una tradizione tout court, si articola in una carta con 5 portate per ogni partita, con prezzi compresi tra i 20 e i 36 euro per gli antipasti, tra 36 e 43 per i primi e tra 52 e 60 per i secondi. In alternativa, il menù Gherardesca – il nome sottolinea proprio lo stretto legame con gli aromi e i profumi del giardino – con 6 portate a 125 euro. Ed è proprio qui che abbiamo misurato la mano di Paolo Lavezzini, scoprendo solidità, fantasia e capacità di guardare alle materie prime in maniera talvolta fuori dagli schemi.
Si parte con un’entrée di zucca cotta nell’acqua tonica, con vermouth rosso e marmellata di limoni, più un topping di nocciole trentine (l’unica eccezione a un’autarchia toscana). Un amuse bouche che punta sul sapore della zucca “raw”, e che lo chef spiega con la necessità di far riscoprire il sapore delle materie prime crude, senza modifiche date dalla cottura.
Gli antipasti iniziano con una melanzana marinata con pecorino maremmano e gelato al pomodoro e rabarbaro. La sfoglia alla base del gelato è formata dalla parte “bruciata” della melanzana, che dà una nota vagamente piccante. È un piatto netto, deciso, che tiene insieme due mondi diversi: gioca sui ricordi gustativi di una materia prima familiare come la melanzana e li unisce alla contemporaneità del gelato gastronomico. La freschezza di pomodoro e rabarbaro pulisce la bocca e prepara il palato al piatto successivo.
Ecco quindi la ricciola del Tirreno con mela, radicchio e burro lievitato: il pesce viene prima marinato e poi appena scottato per cuocere solo la parte esterna, infine completato con una centrifuga di mela e radicchio. Il piatto, elegante nel suo bicromatismo essenziale, è testimone della promessa annunciata da Paolo Lavezzini appena arrivato a Firenze, ossia di dare spazio alla frutta nei piatti.
Il primo piatto del menù autunnale dello chef Paolo Lavezzini è la più grande sorpresa della serata, soprattutto perché arriva dal piatto che forse meno solleticava le fantasie. Un risotto leggermente affumicato con cavoli di stagione (bianco, cappuccino, rosso e nero) che in bocca è un’autentica nuvola. E che cavolo, verrebbe da dire: lo chef mostra come sia possibile prendere un ingrediente che ai più può far storcere il naso e trasformarlo in un piccolo capolavoro. Aveva ragione Shakespeare, quando diceva che “Ciò che noi chiamiamo con il nome di rosa, anche se lo chiamassimo con un altro nome, serberebbe pur sempre lo stesso dolce profumo“.
Dai primi ai secondi, il “nuovo” Palagio è un crescendo: gli Agnolotti di faraona, crema di Parmigiano reggiano e funghi porcini esaltano, specie nella “spunta” del formaggio, le origini emiliane dello chef. Un piatto autunnale, in cui la sapidità del Parmigiano dà la giusta spinta a sapori decisi come la faraona o i porcini.
Come secondo, il menù Gherardesca propone una spalla d’agnello brasata e glassata alla liquirizia selvatica, con misticanza all’uva (i chicchi sono marinati nell’aceto di mele) e cuori di lattuga. Il piatto mantiene vivo il sapore forte della carne d’agnello, forse più vicino a un’idea di “comfort food” rispetto alle due portate precedenti, in cui lo chef aveva osato in maniera più decisa. Un po’ come il basso in una band, la liquirizia resta in sottofondo.
Dopo un fresco predessert ancora una volta dominato dall’uva, il dessert del menu autunnale del Palagio è un tortino di fichi freschi e secchi con mascarpone e gelato ai pinoli di San Rossore, più una gelatina realizzata con un’infusione delle foglie del fico. Un dolce parimenti bello e buono, che non tradisce le aspettative. Per il ristorante di Borgo Pinti, è l’inizio di un nuovo cammino. Per fiorentini e turisti, un’occasione da non perdere.