Un ristorante di pesce nel cuore dell’Oltrarno fiorentino che va a colmare una lacuna in città, offrendo una cucina semplice e rigorosa ma mai banale, che strizza l’occhio alla tradizione isolana della Campania: ecco Filipepe
Non è una novità, da tanto (troppo) tempo: dal punto di vista della ristorazione, Firenze non è mai stata celebre per la cucina di pesce. Non che mancassero i locali – dalle trattorie fino ai ristoranti più quotati – che in carta presentano questo tipo di pietanze, per carità. Ciò che probabilmente in riva all’Arno è spesso stato tralasciato è il passo ulteriore, cioè la realizzazione di una cucina non solo “di pesce” ma preparato proprio come si fa sulla costa, secondo lo stile e le caratteristiche di quelle comunità che in riva al mare vivono da sempre. Ecco perché se avete voglia di una buona mangiata di pesce, e se siete disposti a riconoscere un controvalore economico adeguato al lavoro di ricerca e approvvigionamento, oggi Filipepe (via San Niccolò 39) è un’esperienza da provare assolutamente.
Da fine novembre il locale – già conosciuto agli habitué delle tavole fiorentine – ha cambiato proprietà. E non solo. Tra i nuovi gestori, gli arredi, la cucina e gli chef, del vecchio Filipepe restano giusto le mura. Ma soprattutto è cambiata la filosofia, all’insegna del pesce fresco. Ce la racconta Roberto Ciaramella (a sinistra nella foto in alto), imprenditore campano con la passione per la buona cucina e un’esperienza in costiera amalfitana, trapiantato a Firenze da una dozzina d’anni dove ha gestito il “Sant’Agostino 23” in Oltrarno: “Volevo portare a Firenze i sapori della cucina isolana, il suo modo di pensare e preparare il pesce – spiega – perché ho notato che in città mancava un locale con queste caratteristiche. I nostri capisaldi sono la ricerca della materia prima, che arriva tutti i giorni da Viareggio: non basta che il pesce sia fresco, vogliamo soltanto quello non allevato. Bando anche alle preparazioni troppo elaborate: la cucina dev’essere semplice ma rigorosa nel valorizzare i sapori. Inoltre, va da sé, ci portiamo dietro il know-how della cucina campana e della tradizione isolana”. Per questo motivo Roberto ha chiamato a sé due chef capresi, Angelo Martinazzo e Mariano Aversa, e insieme il trio elabora i piatti del Filipepe cercando di portare in ognuno i profumi e i sapori del mare. Il risultato? Lo conferma il fatto che il piatto giù gettonato siano i crudi, che spaziano dalla tartara di ricciola e tonno ai gamberi, fino ai carpacci.
Ma veniamo alla nostra esperienza. Dopo l’entrée col bocconcino di pesce San Pietro su patata battuta, la cena è iniziata con una frittura di moscardini e un piatto che ci ha subito incuriositi moltissimo: le parmigiane di pesce azzurro. “Abbiamo preso l’idea delle classiche parmigiane campane, alle melanzane e alle zucchine – spiega Roberto – alternando ogni strato con pesce azzurro”. Il piatto è completato da un tocco patriottico, dato dal pomodoro e il pesto, così come da una spolverata di origano (una costante del locale, sempre in omaggio alle radici campane) e formaggio parmigiano.
A corredo è arrivata la ciotola del pane, lasciandoci scoprire un’altra “perla” del nuovo Filipepe: tra le tipologie presenti, panificate ogni giorno in cucina, spiccano il pane con le mandorle e soprattutto una schiacciatina al pistacchio leggera e saporita. La cena è proseguita con i primi: abbiamo assaggiato i paccheri al ragù di mare (in alto) e le linguine ai polipetti e pomodori Pachino. “La pasta – conferma Roberto – viene cotta secondo lo stile campano, che la lascia al dente e piuttosto amidosa, in modo che il condimento leghi meglio possibile con la pasta stessa”. Interessanti anche i ravioli ripieni del pescato del giorno.
I secondi sono preparati con ingredienti semplici in modo da esaltare il gusto e la freschezza delle materie prime: verificata la qualità della frittura con l’antipasto, croccante e non untuosa, ci siamo diretti sulla grigliata mista con gamberi, scampi, calamari, ricciola e verdure (finocchi, carote e melanzane). Piatto semplice, ma che lo chef Angelo è riuscito a personalizzare con un paio di tocchi che hanno dato – specie agli scampi – una marcia in più. Merito anche della Ribolla gialla, parte di una carta ampia e completa sia sotto l’aspetto geografico che economico. In quanto ai dolci, seguendo lo stesso leitmotiv non potevano mancare gli evergreen della pasticceria campana: dalla torta caprese al babà, fino alla pastiera che viene preparata espressa. Per gustarla c’è da aspettare quasi venti minuti (diciotto, per la precisione, come per il tortino di mele annurche), ma è il dazio da pagare per essere sicuri di gustare un dolce fatto all’istante.
In definitiva, con 48 coperti (più 14 nello spazio aperto che aprirà non appena la stagione sarà adeguata) e 6 persone al lavoro – che diventano 8 nel fine settimana – da novembre a oggi il Filipepe si sta affermando come un punto di riferimento per gli amanti del pesce a Firenze. La componente turistica è minima, ci spiega Roberto, mentre tra i tavoli non mancano habitué fiorentini e addetti ai lavori: segno che il passaparola funziona e lavora in fretta. Come detto, i prezzi non si possono certo definire popolari – un conto può arrivare a 70 euro/persona, vini esclusi – ma sono ampiamente giustificati sia dalla qualità delle materie prime, sia dall’accoglienza riservata agli avventori sia dal servizio, puntuale e attento.