Dopo essere stato portato alla ribalta del grande pubblico da Masterchef (anche se in realtà gli addetti ai lavori lo conoscevano da prima, nella zuppa di Calino) il plancton sbarca sulle tavole dei ristoranti fiorentini. Di uno, almeno: è il “Cestello”, dove lo chef Gabriele Rastrelli lo serve in una crema leggera di finocchio o patata a corredo di una capasanta
L’ultima moda nel mondo del food ha il sapore di un paradosso apparente, almeno per chi non mastica nozioni di microeconomia. Possibile infatti che la materia prima di gran lunga più diffusa negli oceani sia allo stesso tempo una delle più costose del pianeta? In realtà sì, se pensiamo che per portare in tavola il plancton – il micro-organismo di origine vegetale che oggi gode una fama assoluta tra gli enogastroappassionati – ci sono ingenti spese di trasformazione, lavorazione e trasporto. Non c’è da stupirsi, dunque, se alla fine una confezione di 15 grammi costa circa 90 euro.
Ad importarlo è la Longino & Cardenal, e – anche se è diventato l’argomento di cui si discute di più da quando il giovane vincitore di Masterchef, Valerio, lo ha utilizzato in uno dei suoi piatti – per gli addetti ai lavori non è una novità assoluta: come conferma il puntale Aldo Fiordelli, Carlo Cracco a Milano ci fa un risotto, il meno noto Calino a Scandicci una zuppa. Per chi è troppo lontano da Milano e per chi non vuole aspettare la nuova apertura di Calino in piazza delle Cure, oggi non c’è che un’alternativa: il Cestello, il ristorante di pesce di Giacomo Corsi con lo chef Gabriele Rastrelli in cabina di regia.
Lo chef non lo serve in purezza, naturalmente, ma in una crema leggera con finocchio o patata (meglio nella seconda versione, più delicata e in grado di far risaltare le caratteristiche del plancton, mentre il finocchio rischia di essere predominante). Di che sa il plancton? Beh, in fondo è l’essenza più intima del mare, il minimo comune denominatore che sta alla base di tutto il resto: come i ricci di mare ha una spiccata nota salina, vagamente salmastra, un colore verde acceso e la consistenza di una polverina. Da usare, quindi, per enfatizzare il sapore del mare.
Dovremmo probabilmente farci l’abitudine, se è vero che qualche studio lo individua come una delle materie prime del futuro insieme ad api, cavallette e insetti in generale. Insomma, fino a non troppo tempo fa eravamo abituati a immaginarlo come alimento per pesci e adesso lo ritroviamo nei menù dei ristoranti di alta fascia. Oddio, quello che abbiamo assaggiato è del fito-plancton (ossia di origine vegetale), da non confondersi con lo zooplancton (di origine animale) che costituisce il principale alimento delle balene. Tra circa 200mila specie di fitoplancton ne sono state individuate prima 26, poi solamente una con caratteristiche organolettiche e tossicologiche idonee all’uso alimentare. Questa microalga monocellulare è stata poi messa in coltivazione, per essere liofilizzata e ottenerne la polvere con cui insaporire i piatti. Non a caso, è ricco di ferro, calcio, fosforo, iodio, magnesio, potassio, acidi grassi Omega 3 e 6, vitamina C ed E.