Abbiamo assaggiato i funghi Shiitake, caratteristici della prefettura giapponese di Tottori. Al debutto in Italia e in cerca di una collocazione sulle tavole dell’alta ristorazione, sono quasi una via di mezzo tra il nostro porcino – ma con una consistenza diversa – e un tartufo. Ecco il fungo che, per tradizione, viene donato all’imperatore
Iniziamo dalla collocazione geografica e da una domanda semplice: quanti di voi (me incluso) avrebbero mai immaginato che in Giappone esistesse un deserto? Pochissimi, vero? Eppure c’è, anche se piccolo: sono le dune di Tottori, nell’omonima prefettura sull’isola di Honshu. La zona è famosa per una serie di materie prime, dal cipollotto alle pere, dallo scalogno al granchio reale, ma soprattutto per i funghi Shiitake. Li abbiamo assaggiati a Firenze, all’Ora d’Aria, dove lo chef Marco Stabile si è cimentato in un menù per una presentazione organizzata dal consorzio di questo prodotto, in tour in tre città italiane (Firenze, Roma, Modena) alla ricerca di sbocchi di mercato.
Si tratta di un fungo (il cui nome scientifico è Lentinula edodes) diffuso soprattutto in Giappone e da lì portato in Cina nel 1200. Il nome Shiitake significa “fungo della quercia” ed è considerato il secondo fungo commestibile più consumato nel mondo. I circa 100 produttori oggi attivi a Tottori ne producono oltre 120 tonnellate ogni anno, con prezzi che oscillano tra i 25 euro/chilo per il prodotto fresco e i 60 (circa 8000 yen) per quello essiccato.
Il cappello dei funghi Shiitake è circolare o reniforme, di colore bruno con chiazze biancastre, e le sue dimensioni variano tra i 5 i 12 cm di diametro, con un gambo tozzo e di colore bianco-ocra. I funghi Shiitake crescono in autunno e in primavera sui tronchi delle latifoglie, in particolare del leccio e della quercia, dopo due anni di gestazione (e facendo attenzione che non vengano mangiati da daini o cervi). Esistono circa 30 tipi diversi di spore, che danno sapori diversi.
Marco Stabile ha preparato i funghi Shiitake (qui con il gambero e la purea) soprattutto in polvere, che è una novità: nella tradizione giapponese lo si consuma infatti a pezzetti, se non intero, e soprattutto dopo essere tenuto ad essiccare in inverno. Anche se ne esistono di formati più piccoli, del resto, a Capodanno lo si mangia nella sua forma più pregiata, il Donko (冬菇). La prassi vuole inoltre che i funghi Shiitake vengano simbolicamente donati all’imperatore – o meglio, alla sua effigie che non manca in ogni casa giapponese – ponendoli davanti alla sua immagine prima di venire preparati.
“In particolare – spiega il rappresentante del consorzio, Katsunori Nasu, nella foto con Marco Stabile – il fungo Shiitake è uno dei tre ingredienti che vanno donati in occasione delle feste, anche perché questo fungo è parte integrante del più tipico piatto giapponese, una sorta di stufato con alghe nori e tonno secco. La percentuale con cui questi tre ingredienti sono miscelati varia a seconda dello chef”.
Nella cucina nipponica i funghi Shiitake non sono mai l’ingrediente principale, ma servono soprattutto per esaltare gli altri sapori che compongono il piatto. Ne sono un esempio – nel menù di Marco Stabile – la tartare di manzo marinata alla birra con pere e fungo in polvere, oppure nel caso del risotto “terra e terriccio” (foto in alto) o del tortello con stracotto di manzo, lemongrass e capperi essiccati.
Ad accompagnare il menù a base di funghi Shiitake c’è ovviamente il saké, la bevanda più conosciuta e diffusa del Giappone. L’abbiamo assaggiato sia nella versione più tradizionale, quella calda (va servito a circa 45°) aromatizzata con un fungo lasciato a macerare all’intero del recipiente – qui – sia nella versione spumantizzata (foto in alto): degli attuali 1300 produttori di saké, soltanto 9 producono la versione sparkling col metodo champenoise, per un totale di non più di 5000 bottiglie.