Appena l’ho visto, guardandolo negli occhi ho capito che sarebbe stata una giornata interessante, sicuramente istruttiva. Avevo dato un’occhiata al menù che avrei assaggiato, ma difficilmente avrei potuto immaginare l’attenzione e la dedizione con cui Moreno Janda – il “gigante buono” che da anni gestisce la locanda La Bussola da Gino a Catena di Quarrata (Pt) – si occupa del recupero in cucina di materie prime avviate a diventare sempre più desuete sulle nostre tavole, dalle rigaglie di pollo ai fagiolini serpenti. E’ lui, che del fondatore Gino è il figlio, a portare avanti oggi la locanda. E di questo nome va orgoglioso: l’etichetta del ristorante non gli si cuce addosso, nonostante d’estate sfiori i cento coperti, perché non dà abbastanza l’idea di una cucina tradizionale, antica, saporita e colta. Che invece è esattamente ciò che lo rappresenta. Tanto da avere in carta molti “piatti perduti”.
Incontriamo Moreno al mercato di Sant’Ambrogio, nel cuore di Firenze, per registrare insieme a lui una serie di quattro puntate per la trasmissione “Toscana a tavola” (ToscanaTv), nell’ambito della rassegna “Vetrina Toscana”. La scaletta della mattinata – guidata da Claudio Sottili – è semplice: spesa con lo chef, acquisto dei prodotti che serviranno per realizzare le quattro pietanze. Più tardi, la preparazione e infine l’assaggio, con un buon vino in abbinamento. Nonostante sia grande e grosso, ha il sorriso pronto e gli occhi gentili. Li usa per scrutare il bancone della macelleria e scegliere le parti di “scarto” di salumi e insaccati (mortadella, arista, pancetta, rigatino), quelle che restano in mano alla fine di un lungo lungo taglio. E così via, in ognuno dei quattro piatti, scegliendo sempre prodotti della tradizione che strizzano l’occhio al quinto quarto. Eccoli:
1) Sminuzzata di coppa con insalata norcina
Il piatto è formato dalla “coppa di testa” o soprassata, che rappresenta uno dei false friends della cucina italiana. Se in Toscana la soprassata indica l’insaccato fatto con la testa, appunto, in diverse altre regioni italiane – specie al sud, nella versione “soppressata”, è un insaccato del tutto diverso. Allo stesso modo la coppa: ciò che indica in Toscana è ben diverso dal taglio, a base di carne di maiale stagionata, che si trova in altre regioni. A corredo ci sono cipolline fresche, arance e menta, mentre come contorno troviamo un’insalata norcina con porri, ananas, aceto di vino, sale e pepe
2) Mattoncini di ricotta in brodo di gallina
La prima questione, girando per i banchi di Sant’Ambrogio, è: quale ricotta usare? Moreno non ha dubbi: di mucca e di pecora, in uguale quantità. La prima servirà a dare la morbidezza, la seconda il sapore più deciso. I mattoncini vengono cotti a bagnomaria, per restare compatti anche una volta che verranno calati nel brodo. A proposito, nel brodo di gallina – alzi la mano chi trova il tempo oggi di prepararne uno… – lo chef Moreno ha posto uova, parmigiano, noce moscata, limone e sale. Non potrei immaginare una cena invernale senza un buon brodo caldo e saporito.
3) Taglierini con le rigaglie di pollo
La tradizione contadina, qui, tocca il suo culmine. Per condire i taglierini, lo chef ha usato – oltre a un paio di acciughe, del rosmarino e dell’aglio, più pomodorini ciliegini e olio extravergine – una serie di frattaglie, dai fegatini al cuore, dai “durelli” alle crest fino ai bargigli della gallina. Si tratta di prodotti che nelle grandi città trovano sempre meno spazio, e anche nei ristoranti di periferia stentano a incontrare il piacere del grande pubblico. Eppure Moreno ci racconta che alla locanda “La Bussola da Gino” li ha regolarmente in carta e qualche ragazzo ogni tanto li prova, per assaggiare magari ciò che preparava la nonna.
4) Braciole rifatte con i serpenti
Nessuna paura, certe cose lasciamole alla cucina tradizionale asiatica. I “serpenti” di cui si parla sono i fagiolini, verdi e lunghi, non particolarmente belli a vedersi ma – proprio per questo motivo – indice di genuinità e scarso contributo chimico o industriale. Si tratta di una verdura che segue molto la stagionalità, che Moreno ha voluto usare per condire le braciole di manzo (una carne di seconda scelta, ben battuta dal macellaio), insieme a uova, pangrattato, pomodori pelati, aromi (salvia, rosmarino, aglio, cipolla) limone, peperoncino e capperi in salamoia. Il risultato è un piatto ricco di sapore, con una propria identità definita.
Tutti i piatti sono stati abbinati con i vini del Podere San Michele, a San Vincenzo (Livorno). Anzi, si tratta dell’unica azienda vinicola sul territorio comunale di San Vincenzo, e – come ci racconta il titolare Giorgo Secci – in passato forniva anche vino al buon Fulvio Pierangelini del “Gambero Rosso”. Abbiamo sentito l’Allodio (rosso e bianco), che trae il nome da un vocabolo germanico che indica “ciò che è posseduto in piena libertà, senza vincoli”. I vitigni sono Sangiovese, Syrah e Viognier, coltivati in un’insenatura non lontana dal golfo di Baratti. Si tratta di vini interessanti, con una storia e forse più di una da raccontare. Meritano un pezzo a parte, arriverà presto.
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