Ecco come l’Università di Palermo ha ricostruito il sapore di pane scomparso, dopo che la pagnotta di Piana degli Albanesi (Pa) aveva nel tempo subito un calo di vendite proprio perché gli abitanti del posto non ne riconoscevano più la tipicità.
Da qualche tempo gli abitanti di Piana degli Albanesi, nel palermitano, avevano smesso di comprare la tradizionale pagnotta. Il calo delle vendite si spiega con la perdita del carattere di tipicità del pane, che aveva via via smarrito le caratteristiche che rendono tipico quel prodotto da forno. In altre parole, il sapore di pane era andato perduto. Per trovare una soluzione è intervenuto un gruppo di ricercatori dell’Università di Palermo, guidato dal prof. Baldassare Portolano, responsabile scientifico del progetto “Applicazione di biotecnologie molecolari e microrganismi protecnologici per la caratterizzazione e valorizzazione delle filiere lattiero-casearia e prodotti da forno di produzioni tipiche”, finanziato nell’ambito del PON Ricerca e Competitività 2007-2013.
Il lavoro del team è partito dalla caratterizzazione microbiologica delle farine locali, che sono state campionate subito prima del processo di fermentazione, allo scopo di fotografare la popolazione microbica presente al momento della trasformazione in impasto. Dato che uno degli elementi che conferisce tipicità al pane di Piana degli Albanesi è costituito proprio dal processo di produzione tradizionale, tramandato di generazione in generazione, le farine sono state trasformate seguendo l’antico metodo della fermentazione naturale, che non solo avrebbe conferito al pane un sapore e un odore “tradizionale”, ma l’avrebbe anche reso più digeribile.
A questo punto, i ceppi appartenenti al gruppo dei batteri lattici, principali responsabili del processo di lievitazione naturale, sono stati isolati, caratterizzati a livello genetico, tramite analisi di DNA, e sottoposti a vari test tecnologici per valutarne le performance durante il processo di trasformazione. Quindi, tra questi batteri sono stati individuati alcuni ceppi eterofermentanti, capaci non soltanto di produrre acido lattico, ma anche acido acetico e anidride carbonica, caratteristiche tipiche dei batteri utili per una lievitazione naturale ottimale, in grado di influenzare positivamente l’odore e il sapore del pane.
“Nello specifico – spiega Luca Settanni, ricercatore di microbiologia agraria – i batteri utilizzati durante lo scale-up del processo sono stati Leuconostoc citreum PON10079 e PON10080 e Weissella cibaria PON10030 e PON10032, in quanto caratterizzati dalle migliori performance tecnologiche in vitro. Questi microrganismi sono stati quindi dapprima impiegati su farine locali sottoposte a sterilizzazione mediante raggi gamma per valutare le loro potenzialità in vivo, in assenza di batteri competitori. Successivamente, i batteri lattici selezionati sono stati testati con farine utilizzate a livello industriale, in condizioni reali e su grandi volumi”.
Dopo la verifica dei parametri chimico-fisici e microbiologici, a livello di laboratorio, il pane ottenuto dall’impasto fermentato naturalmente è stato messo in produzione e venduto al pubblico. I risultati si sono visti preso: il sapore di pane è tornato, nell’ultimo anno la produzione del pane di Piana degli Albanesi a lievitazione naturale ha subito un notevole incremento delle vendite: “il pane adesso – sostengono gli anziani del luogo – ha il sapore e l’odore di una volta”, oltre a un’alveolatura uniforme, a un volume maggiore e a una digeribilità migliore.