Nella città più turistica della riviera romagnola, per una volta ho dribblato i locali à la mode per sperimentare un locale che – a metà strada tra la mensa aziendale e l’ufficio postale – rappresenta una delle migliori best practices della ristorazione, Pesceazzurro
Diceva Agatha Christie che tre indizi fanno una prova. E li ho scovati tutti e tre, per sospettare fortemente di essere finito all’ufficio postale anziché in un ristorante. Con quel fiorire di colori blu e giallo che fanno molto “Poste Italiane”, infatti, la prima sensazione era che mancassero solamente gli sportelli per le raccomandate. Guardando le persone in attesa in coda, poi, la sensazione di essere capitato in un ufficio postale è diventata più concreta. Infine, quando ho visto passare sui maxischermi non i numeri dei clienti da servire ma le notizie del giorno, per un attimo mi sono posto il dubbio di essermi involontariamente spostato in un autogrill.
Niente di tutto questo, invece. Battute a parte, a Rimini – nella città più turistica della riviera romagnola, e per giunta in un weekend di ponte – sono riuscito a mangiare un menù di pesce a 13 euro, con cinque piatti. Non è la Caritas, né indigenti sono i suoi fruitori. Tutt’altro, come vedremo. Si tratta di Pesceazzurro, una delle migliori best practices italiane di ristorazione legata alla ristorazione di pesce, con diversi punti lungo la costa adriatica. Ne avevo sentito parlare sul versante economico, appunto, ma non pensavo che mi ci sarei imbattuto davvero.
E invece così è stato. Al di là dell’impressione di trovarmi in un ufficio delle Poste Italiane, i cartelli di Pesceazzurro spiegano la ratio dell’iniziativa – tutelare la sostenibilità dei mari e valorizzare il pesce azzurro – mostrano chiaramente che con 13 euro è possibile acquistare cinque piatti di pesce (due antipasti, un primo e due secondi). Poi ci sono gli extra come i dolci o la frutta. Certo, la scelta non è molto ampia e il focus è sul pesce azzurro – quindi niente aragosta o pesci particolarmente pregiati – ma non mancano palamite, sgombri, vongole, cozze, alici, tonnetti e così via.
Com’è facile intuire, al Pesceazzurro – oltre a quello di Rimini e alla casa madre di Fano, ce ne sono a Senigallia, Cattolica e Milano Marittima – non c’è servizio al tavolo ma un self service con posate di plastica e piatti di carta. Ma le porzioni sono abbondanti: il menù del giorno, nel caso specifico, prevedeva pasta con tonno e ceci, cozze e alici gratinate, sgombro sott’olio e vongole in umido. Ma ci sono anche olive ascolane, seppioline con piselli, filetto di sgombro impanato e così via.
Diciamocelo: a chi è abituato a mangiare in altre categorie di ristoranti può sembrare singolare un pasto servito in un piatto di carta, ma se per un attimo scendessimo tutti dal piedistallo e guardassimo alla sostanza di ciò che abbiamo davanti, forse scopriremmo che con 13 euro non si deve necessariamente rischiare un’intossicazione alimentare. Tutt’altro. Da Pesceazzurro la materia prima è fresca e di buona qualità, le razioni abbondanti e l’esperienza nel suo complesso utile a non fossilizzarci su cliché gastronomici. Del resto, sono pronto a giocarmi un braccio che gli stessi piatti li avrei assaggiati in decine di altri ristoranti della zona, con un prezzo finale almeno triplo.
Una considerazione finale su Pesceazzurro: nessuno provi a pensare che si tratti di una soluzione low cost per chi non ha voglia/possibilità di spendere o versa in stato di necessità. Anzi, su queste sedie a metà strada tra la mensa aziendale e il già citato ufficio postale ho visto una coppia festeggiare i 41 anni di lei, pasteggiando a vinello preso dalla spina. File lunghissime, sia a pranzo che a cena, sia nei weekend che infrasettimanale (mi dicono gli habitué), ma osservando le persone in coda vedo soprattutto turisti, locali, gente che dopo una mattina in spiaggia viene a pranzare qui con assoluta normalità. E se pensate che Pesceazzurro sia in un luogo lontano dal cuore di Rimini, beh… ecco la vista che si gode dalle sue finestre:
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