sabato 20 Aprile 2024
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Ristorante Sabatini: lo spaghetto c’è, la magia decisamente meno

A tre mesi dall’avvicendamento alla guida di Sabatini, siamo andati a provare il “nuovo corso” dello storico ristorante fiorentino e i suoi celebri spaghetti flambé. Il piatto in sé non è male, d’accordo, ma la magia è scomparsa. E senza la narrazione, senza l’epos del piatto, come giustifichi un prezzo di 25 euro?

ristorante sabatini

Abbiamo lasciato passare tre mesi, per dare tempo alla nuova gestione di rodare gli ingranaggi di una macchina tutt’altro che semplice da manovrare. Ci siamo spogliati di ogni preconcetto, di ogni pregiudizio, di ogni potenziale e possibile elemento che potesse inficiare una valutazione obiettiva e neutrale. E siamo andati a provare Sabatini, il ristorante in via Panzani che lo scorso marzo ha cambiato proprietà, dopo un decennio affidato al duo formato da Carlo Lazzerini e Claudio Schiavi. Eravamo curiosi di vedere come è cambiato, e se il nostro timore di dover dire addio a un’epopea gastronomica fosse fondato o meno.

ristorante sabatini

Svuotata la mente di ricordi e nostalgie, varchiamo la soglia a pranzo, in un venerdì di fine giugno. Due sono gli elementi positivi che saltano all’occhio: le bandiere all’esterno, che rendono il ristorante più visibile, e i tavoli sistemati lungo tutto il corridoio, fin quasi alla porta d’ingresso. Altrettanti i lati negativi: uno degli storici pezzi d’arredamento – la Grida sopra il pane – è stata parzialmente coperta da un mobile con una cassa, d’epoca anch’essa. E sulla tovaglia bianchissima (dove non c’erano candele) faceva mostra di sé un grosso pezzo di cera, bianco, probabilmente dalla sera prima. Transeat sui refusi nel menù, anche se a certi livelli non dovrebbe accadere.

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Chiediamo di assaggiare gli spaghetti alla Sabatini, presenti nel menù all’ingresso solo all’interno del menù degustazione. Ci rispondono che sono in carta ma vengono preparati soltanto di sera, tuttavia li avrebbero serviti comunque. Benissimo, la flessibilità è una dote da apprezzare. Così come da apprezzare sono particolari come il pane, di buona qualità, e l’entrée a base di formaggio pecorino e salse agrodolci. Finalmente, qualche minuto più tardi, arriva il carrello con la lampada d’argento. Il rito può iniziare.

spaghetti alla sabatini

O meglio, sarebbe dovuto iniziare. Invece le cose sono andate un po’ diversamente. Sul carrello mancavano il sale e le pinze per la pasta, poi portate da un cameriere ma cambiate in corsa con altre di tipo differente. Il carrello era sistemato al contrario, ma non ce ne saremmo mai accorti se lo chef non lo avesse pubblicamente fatto notare ai due camerieri davanti al cliente, “così vi regolate per le prossime volte”. Gli spaghetti alla Sabatini sono un piatto che va raccontato, narrato, illustrato, quasi evocato, altrimenti non ci sarebbe quasi bisogno di presentarlo al tavolo. Invece – nonostante avessimo chiesto proprio quel piatto, mostrando così una certa curiosità – lo chef non ha rivolto una parola, né sulla preparazione né su altro. A noi no, almeno. Ma ai vicini di tavolo sì, scambiando qualche chiacchiera di cui abbiamo colto solo un paio di passaggi “È uno dei migliori ristoranti di Firenze” gli si è rivolto un commensale un paio di tavoli più in là. “Già, abbiamo anche il bidet” è stata la risposta, scherzosa ma forse poco consona al momento. Un altro passaggio che abbiamo colto riguarda la data di fondazione del locale: è stato riferito il 1924, ma siamo abbastanza sicuri che l’anno fosse il 1914 (Corriere conferma). Per il resto, flambage corretto e gestualità sicura.

spaghetti alla sabatini

A preparazione finita, lo spaghetto alla Sabatini viene servito e gustato. Buono, onestamente: al di là del gusto personale, che ci impedisce di fare confronti con la mano precedente, è un piatto ricco e opulento, dal sapore pieno e avvolgente. Però è del tutto mancata la magia, la narrazione, il racconto: se – come recita il menù – da Sabatini hanno mangiato “il maestro Arthur Rubinstein, Dario Fo, Oriana Fallaci… e stasera tu”, ci piacerebbe che il commensale fosse il vero protagonista dell’esperienza gastronomica e non un mero comprimario tra una chiacchiera e l’altra, uno davanti al quale dire al cameriere “vai, c’è gente all’ingresso” richiamandolo al ruolo di buttadentro. Soprattutto se si tratta di un piatto in carta a 25 euro.

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Il conto, infatti, alla fine arriva a 35 euro: 25 sono per gli spaghetti alla Sabatini, 5 per l’acqua minerale e 5 per il coperto. Tralasciamo il fatto che forse 5 euro di coperto sono un po’ eccessivi – non ho sottomano la lista dei coperti degli stellati fiorentini, ma a naso non ricordo che vadano oltre questa cifra (è la stessa cifra del Palagio del Four Seasons, però con una stella in meno) – non mi scandalizzano certo i 25 euro per un piatto di spaghetti. Anzi, in linea di principio li definisco un prezzo decisamente in linea con lo stile del locale, la cucina flambé e la fama del piatto in sé. Però ha senso far pagare la experience degli spaghetti alla Sabatini (quella che già in passato definimmo un’esperienza che trascende l’ambito meramente gastronomico), che va ben al di là del valore economico di sugo, pasta e condimenti. Se viene a mancare l’epos del piatto, invece, come si giustifica quella cifra?

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