giovedì 25 Aprile 2024
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Gli spaghetti alla bolognese? Non esistono, anzi, sì. La querelle all’ombra delle Due Torri

Che le tagliatelle rappresentino uno dei piatti tradizionali bolognesi più famosi è risaputo da tutti. Ma gli “spaghetti alla bolognese” che vengono strombazzati nei menù di tutto il mondo cosa c’entrano? Hanno diritto o no di cittadinanza sotto le Due Torri? Secondo lo storico Giancarlo Roversi sì. Ecco perché

Spaghetti alla Bolognese

Sono orami mesi che la disputa sugli spaghetti alla bolognese tiene banco a Bologna e non solo, specie dopo l’ultimo affondo del sindaco Virginio Merola. Un piatto che ha una storia e testimonianze che affondano nei secoli, eppure Giancarlo Roversi – giornalista e storico di chiara fama – ha sentito il bisogno di fare chiarezza, e con lui Giulio Biasion (membro ‘Balla degli spaghetti alla bolognese’) e Gianluigi Mazzoni, portavoce del Comitato per la promozione della vera ricetta degli Spaghetti Bolognesi.

Secondo Roversi, un gruppo di amici buongustai petroniani ha creato la “Balla degli spaghetti alla bolognese”. Si tratta di una gustosa provocazione perché, a loro dire, questo piatto non ha nulla a che vedere con Bologna dove la pastasciutta che tiene da sempre banco sono le tagliatelle e non gli spaghetti seppure accompagnati all’estero e qualche volta anche in Italia dallo specificativo “alla bolognese”.

spaghetti alla bolognese

Anzitutto – spiega Roversi – non bisogna cadere nell’errore superficiale di pensare che a Bologna in tutte le case lungo i secoli si siano mangiate ogni giorno le tagliatelle al ragù. Anche perché questo voleva dire che tutte le mattine le brave arzdoure petroniane avrebbero dovuto procurarsi uova fresche e mettersi al tagliere a tirare una bella sfoglia col matterello. E in una città che rima della peste del 1630 ha sfiorato i 60 mila abitanti è assurdo pensare che ci nutrisse di tagliatelle o comunque di pasta di produzione domestica. Però, come specificano i bandi comunali del Sei-settecento rivolti ai “pastaroli” e per informazione a tutta la collettività, esistevano, almeno fin dalla seconda metà del 500, negozi che vendevano pasta “bianca e pasta gialla”, fresca e secca (tra cui i “vermicelli” ossia il termine usato per identificare gli spaghetti fino al 1819 quando a Napoli vennero ribattezzati spaghetti).

Anche perché – continua Roversi – in una città molto popolata era impensabile che le tagliatelle nelle case dei ricchi e meno che meno in quelle dei poveri, scorressero come un fiume in piena, accanto alle paste tradizionali come le lasagne, i tortellini e i tortelloni, piatti destinati non all’alimentazione quotidiana ma a quelle delle feste. A tenere banco a Bologna, almeno fin dal secolo XVI, erano infatti non solo le tagliatelle, riservate però al pranzo domenicale e a quello dei giorni festivi, ma pure gli spaghetti, chiamati, lo ripetiamo ancora una volta più propriamente «vermicelli» (in dialetto varmizi o marmizi)). Il condimento era composto di carne di manzo, carne di maiale, lardo, pancetta e archest, ossia le rigaglie di pollo ed è restato in auge nelle nostre campagne fino alla metà dell’800. Era il ragù cosiddetto in bianco ossia senza la conserva di pomodoro: per trovare quest’ultima, che rende così caratteristico il ragù alla bolognese di oggi, bisogna attendere il definitivo ingresso nell’alimentazione del pomodoro, rimasto dopo la scoperta dell’America.

La dimostrazione che a Bologna già durante il ‘600 e il ‘700 si consumassero grosse quantità di pasta secca, in particolare vermicelli, ossia spaghetti – continua Roversi, autore del saggio “Alimentazione e consumi nella Bologna dell’Ottocento” e membro dell’associazione Club dei Sapori – è fornita dai bandi legatizi emanati ogni anno dal Senato per calmierare i prezzi. Bandi che riguardavano solo la pasta di produzione locale e non quella forestiera che aveva un prezzo di mercato libero e soddisfaceva le esigenze gustative di chi poteva permetterselo. In questo panorama alimentare non mancavano certo le tagliatelle, ma non destinate al consumo quotidiano, bensì, salvo rare eccezioni, a quelli di più alto status sociale. I trattati culinari dal secolo XVI al XIX confermano l’uso di vermicelli / spaghetti anche sotto le Due Torri.

In conclusione, i vermicelli / spaghetti nella loro versione alla bolognese al ragù, quello in bianco in auge fino all’inizio dell’Ottocento prima che vi entrasse la salsa di pomodoro, hanno pieno diritto di cittadinanza nella cucina petroniana e anche nella sua proiezione internazionale, accanto alle nobilissime tagliatelle e non in concorrenza con esse.

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