In Toscana il primo censimento della schiacciata, organizzato da Aset e Vetrina Toscana insieme all’accademia della Crusca: un’indagine scientifica per scoprire come differenti tipi di focaccia vengono chiamati in diverse parti della regione, e perché. Uno studio che ha mobilitato 200 fornai toscani.
Più che di palato, è una questione di lingua. Italiana. Perché per sapere cosa si mangia, a volte è necessario anche conoscerne il nome. Nel caso della schiacciata toscana – chi non ne ha mai assaggiata una, anche solo di passaggio nel Granducato? – l’esigenza di mettere un po’ di ordine tra “ciaccino”, “fugassa”, “carsenta”, “cofaccia” e “panigaccio” è stata avvertita da più di un soggetto. Al punto da riunire intorno allo stesso tavolo Aset (Associazione Stampa Enogastroagrolimentare Toscana), Vetrina Toscana (il progetto di Regione e Unioncamere Toscana che promuove ristoranti e botteghe che utillizzano i prodotti tipici del territorio), Accademia della Crusca per un censimento che ha avuto l’appoggio operativo di Confcommercio, Confesercenti, Confartigianato, CNA e Consorzio del Pane Toscano a Lievitazione Naturale.
Il progetto ha coinvolto oltre 200 fornai toscani, che hanno compilato quasi 150 schede analitiche, mentre ai giornalisti di settore (incluso il sottoscritto) è toccato analizzare un centinaio di campioni. In più, uno studio specialistico ha illustrato le diverse denominazioni in uso sul finire del Novecento in oltre 200 paesi della Toscana, poi ricondotte al territorio in cui risultano diffuse e infine confrontate con gli strumenti della lessicografia storica per saggiarne il radicamento nella nostra tradizione culturale. Insomma, un’indagine per capire come viene chiamata la schiacciata – anzi, le diverse tipologie di schiacciate – in tutta la regione. In fondo, la schiacciata toscana si distingue inoltre dalle altre esistenti in Italia perché nasce non come “supporto” di un companatico, ma come prodotto che può – forse anche deve – essere consumato da solo. Eppure, nonostante l’estrema semplicità degli ingredienti (acqua, farina, olio, sale, lievito), l’esperienza quotidiana indica che di schiacciata esiste un ventaglio infinito di declinazioni diverse, talvolta opposte tra loro: alta e bassa, morbida e croccante, più salata e meno salata, farinosa e non, unta e asciutta, friabile e compatta, bordi alti e bordi bassi, più cotta e meno cotta, da farcire e non, ecc…
Un vero e proprio censimento della schiacciata toscana, il primo mai realizzato. L’indagine, durata quasi cinque mesi, è stata presentata all’Accademia dei Georgofili alla presenza della presidente degli Amici dei Georgofili, la marchesa Vittoria Gondi, che ha offerto i vini e il palazzo di famiglia per la degustazione che ha seguito la presentazione ufficiale. “Il risultato più evidente di questo censimento sulla schiacciata toscana – spiegano i ricercatori – è che il prodotto è ancora estremamente vivo sia per radicamento del consumo, sia per varietà della produzione, sia per potenziale di sviluppo e di divulgazione, anche in chiave di promozione territoriale, e grazie a ciò non corre per ora pericoli di omologazione”.
La complessità delle cose semplici
L’indagine è stata svolta raccogliendo, su base volontaria, le 87 schede analitiche (qualcuna comprendente più di un prodotto) inviate dagli oltre 200 produttori interpellati attraverso le organizzazioni di categoria. Un corpus poi integrato con le segnalazioni giunte da parte dei giornalisti associati ad Aset. Tutti i censiti sono quindi stati invitati a presentare le proprie schiacciate (in tutto 96) per una verifica e per un’analisi organolettica, attraverso la quale si proceduto alla stesura di una prima “mappatura” e all’individuazione dei cinque macrotipi (sottile, da farcire, tradizionale, con pasta di pane, con farina di grani speciali) su cui si basa l’attuale produzione di schiacciata.
Prendendo le mosse dall’Atlante Lessicale Toscano, frutto di una ricerca su campo condotta alla fine del ‘900 su tutto il territorio regionale, l’Accademia della Crusca ha invece individuato le diverse denominazioni ancora in uso per indicare la tradizionale focaccia. Le diverse voci (dalla “ciaccia” della Garfagnana a alla “fogazeta”, da “panèllo” alla “pieda” dell’Appennino, fino alla “fugassa” di Massa, alla “cofaccia” pistoiese o alla “carsenta” della Lunigiana), raccolte in oltre 200 paesi, sono state poi ricondotte al territorio in cui risultano diffuse e anche confrontate con gli strumenti della lessicografia storica per saggiarne il radicamento nella nostra tradizione culturale. Da Pellegrino Artusi, che la menzionava nelle sue opere, fino a ricordare il detto “rubare il fumo alle schiacciate” per indicare un ladro particolarmente versato nella sua professione.