Arriva nel weekend a Roma la nuova edizione di Via Japan, l’evento dedicato interamente allo street food giapponese: tre giornate da non perdere per conoscere la vera Tokyo nei piatti
Dopo il successo della scorsa edizione, ritorna a Roma il grande Giappone. Da venerdì 11 a domenica 13 ottobre Via Japan sarà la magica atmosfera del vero street food del Sol Levante. Anche quest’anno sarà possibile passeggiare tra le affollate strade dei piatti tipici giapponesi e degustarne storia e tradizione, semplicemente restando a Roma. Officine Farneto (via dei Monti della Farnesina) isserà la bandiera nipponica in accordo con il principio stesso dell’evento, ovvero creare un canale di scambio e divulgare la cultura del Giappone in Italia; il suo grande spazio, con oltre 2000 mq tra interni ed esterni, si trasformerà nei veri izakaya giapponesi, tutto affinché questi due mondi così lontani arrivino a fondersi completamente.
Saranno 15 gli chef giapponesi pronti a partire da Tokyo e portare a Roma le loro radici culinarie, ognuno nella propria storia e interpretazione, ognuno nel loro racconto: onigiri, yakitori, takoyaki, tempura, ramen. Il programma prevede masterclass, degustazioni e laboratori guidati e affiancati da chef italiani e giapponesi che, tra l’altro, insegneranno a preparare il sushi a casa! Non mancheranno sakè bar, tea room e japanese bakery.
All’evento si accenderanno anche le stelle degli chef Iside de Cesare e Daniele Usai che suggelleranno l’unione del Bel Paese e della terra del Sol Levante. Per ammazzare l’attesa, ecco qualche piccola curiosità sul sushi e la sua storia.
Le origini del sushi
La leggenda narra che un tempo le dispense dei giapponesi furono oggetto di furti continui. Un’anziana signora, per salvare le sue provviste e far fronte ai ladri di cibo, decise di mettere al sicuro una quantità di riso già cotto in una grande botte. L’anziana signora non sapeva però che all’interno di quella botte suo marito aveva messo già del pesce eviscerato. Purtroppo l’anziana signora morì e quando il marito aprì la botte, con grande stupore, trovò il pesce ben conservato. Cosa era successo? Il marito triste scoprì che il riso fermentando, in qualche modo, aveva conservato il pesce e lesse questo come l’ultimo gesto d’amore e protezione della sua donna.
Da qui, parte della letteratura fa iniziare i tanti miti che girano intorno alla nascita del sushi. In realtà il metodo di fermentazione e conservazione attraverso il riso cotto viene importato dalla Cina e dalla Corea dove era il metodo prediletto per conservare il pesce: questo, una volta pulito, veniva riempito di riso cotto e al momento della sua consumazione, il riso veniva scartato. Quando questa tecnica arriva in Giappone, furono i monaci buddhisti a pensare bene di mangiare oltre al pesce, anche il riso. Ma attenzione, non parliamo ancora di sushi come lo intendiamo noi! Per arrivare al piatto che ha conquistato il mondo, il Giappone dovrà ancora lavorare affinché, da tecnica importata, diventasse una propria tradizione in simbiosi con tutto il suo mondo fino a quasi perdere qualsiasi altra origine straniera.
Siamo solo nel quarto secolo d.C. ma stava nascendo qualcosa di molto simile al sushi come inteso oggi: il pesce crudo veniva posizionato in botti di legno e alternato a strati di sale e strati di riso, in questo modo restava pressato per qualche settimana; dopo questo periodo veniva fatto fermentare per mesi. Era nato il naresushi, oggi ancora apprezzato in alcune zone di Tokyo.
Successivamente, intorno al XVII secolo, mentre la sede del governo nipponico si spostava da Kyoto a Edo (Tokyo), venne introdotto l’aceto di riso: la fermentazione avveniva in poche ore e il “piatto” , lo haya zushi, era pronto per essere consumato, ma prima veniva pressato in appositi stampi. Nel 1700 venne introdotto un nuovo metodo e una nuova ricetta: uno spesso strato di riso veniva pressato in piccoli contenitori di legno detti hako creati proprio per questo scopo; sul riso venivano adagiati sottili fette di pesce. Il “sushi”, per la precisione l’oshizushi veniva pressato a mano, tagliato in tanti quadratini e servito.
Ci siamo quasi, in questo percorso si sta definendo il sushi come amiamo e siamo soliti degustarlo, ma in realtà per farlo dobbiamo ripercorrere qualche giornata del 1820: un uomo capì non solo l’immediatezza del sushi, ma, precursore dei tempi, capì anche che la gente aveva fretta! La mente brillante in questione fu quella di Hanaya Yohei che aprì il primo banco da strada per la vendita del… nigiri sushi, inaugurando la brillante stagione dello street food nipponico.
Il sushi chef (il primo!) per far fronte alla fretta dei passanti iniziò a formare con le mani delle “polpette” (non ce ne vogliano gli amici giapponesi!) di riso fermentato e, semplicemente, vi adagiava sopra filetti di pesce crudo. Da lì l’idea e la tecnica di Hanaya Yohei fu presa e imitata da molti altri che riempirono le strade di Tokyo con il profumo di una nuova tradizione tutta giapponese. Forse questa sfumatura di modernità che ben si sposava all’urgenza dei passanti di mangiare velocemente fu la base che fece del sushi il piatto tradizionale giapponese.