sabato 27 Aprile 2024
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A Villa Petriolo il nuovo PS “gentile” di chef Stefano Pinciaroli

Nella nuova “doppia” location di Villa Petriolo, lo chef Stefano Pinciaroli si divide tra la cucina gourmet di PS e quella popolare dell’Osteria di Golpaja. Ed è qui che, giocando su erbe e spezie, mostra la sua mano gentile

Chi lascia la strada vecchia per la nuova sa quello che lascia e non quello che trova, recita un vecchio adagio. Ma la strada nuova, per lo chef toscano Stefano Pinciaroli che da poco ha trovato una nuova sede per il ristorante PS, non era poi così lontana né tantomeno sconosciuta. Per lui – volto noto della ristorazione toscana, con incursioni televisive alla Prova del cuoco – dopo la fine del lockdown la chiusura della vecchia sede ha coinciso con l’insediamento nel “nuovo corso” di Villa Petriolo a Cerreto Guidi, un ambizioso progetto di cui il ristorante è solo la punta dell’iceberg.

Il complesso rilevato dall’imprenditore messicano Hector Cuadra e Daniele Nannetti – svariati ettari di azienda agricola biologica con camere, ulivi, vigneti, fattoria e allevamenti, una Spa in costruzione e l’obiettivo di diventare una struttura autosostenibile a 360° – ha dato a Pinciaroli l’occasione per raddoppiare la propria offerta, affiancando a quella gourmet del PS un’anima più popolare nell’adiacente Osteria di Golpaja (che riprende il nome da uno dei poderi storici di Villa Petriolo). Ve la raccontiamo, con le foto di Luca Managlia.

Con i suoi 30 coperti ricavati in quella che era la cantina della villa – i cui segni sono ancora visibili  alle pareti – il nuovo PS offre allo chef non solo la possibilità di sfruttare il km 0 offerto dalla Villa, ma anche il ritorno a una cucina a vista, con cui già si era cimentato all’inizio degli anni Duemila all’Incanto del Grand Hotel in piazza Ognissanti a Firenze. E il silenzio che arriva dalla cucina farebbe quasi pensare a un vetro sottile, se il profumo delle preparazioni non rivelasse l’arcano e rendesse merito ai rodati meccanismi con cui Stefano Pinciaroli lavora e dirige la sua brigata.

Al PS la scelta dei commensali cade tra tre diversi menu: uno di mare (65 euro per quattro portate, 85 per sette), uno di terra (60 euro per quattro, 80 per sette) e uno vegetariano (55 e 75 euro). In alternativa, ogni piatto in carta è proposto a 20 euro. Negli abbinamenti del vino, curati da Lorenzo Caponi, ovviamente le bottiglie di Villa Petriolo giocano un ruolo determinate.

Nelle foto di Luca Managlia, il primo approccio con la cucina di Stefano Pinciaroli sono le alici alla povera: nessuna marinatura, ma una cottura in tempura e un passaggio nella mollica di pane, oltre alla salsa di aceto di vino e cipolla di Certaldo. Un piatto povero solo nel nome, perché la menta e le erbette gli danno un tocco di freschezza e allo stesso tempo raccontano del particolare feeling dello chef con le componenti vegetali.

Sempre agli antipasti appartiene il “Cinghiale accanto al cipresso”, figura quasi pittorica che ci restituisce un coscio di cinghiale di zona marinato con spezie e cotto a bassa temperatura, affettato sottile e servito con cipolla in agrodolce e maionese homemade, insieme a olio essenziale di cipresso. Il selvatico del cinghiale è ingentilito quanto basta dalla mano dello chef e privato delle spigolosità da un uso felice – ancora una volta – di erbe e spezie.

Nell’alternanza carne/pesce, il menu di Stefano Pinciaroli ci consegna un piatto che pesca nei ricordi personali dello chef, lo spaghetto alle arselle con triplice uovo (nella pasta, come zabaione, marinato e grattugiato a mo’ di formaggio). Proprio l’uso dell’uovo, che infrange uno dei dogmi della cucina con i molluschi – beh, al netto delle cozze ripiene – dona al piatto una gradevole cremosità.

E qui veniamo al piatto che si farà ricordare: la fregola con piccione e limone, una versione tutta toscana (sia nella pasta Morelli che nell’uso generoso del piccione, il cui petto è cotto a bassa temperatura e la carcassa lasciata a sfilacciarsi nell’intingolo), risottata e mantecata con parmigiano reggiano, olio e succo di limone. Un piatto di grande, grande ispirazione, complesso e ricco, ben gestito nella parte agrumata. La cottura prolungata fa sì che i pezzi di piccione si amalgamino con la fregola creando un effetto simile ai funghi, nel più classico dei risotti all’italiana.

Il secondo di pesce è un omaggio a Livorno: il Baccalà De’ di Stefano Pinciaroli vede un filetto di morro accompagnato a una crema di pomodoro montata all’olio, polvere di olive, chips di aglio fritto. Si tratta di una rivisitazione – nuovamente ingentilita – di un piatto altrimenti più vicino alla cucina di mare “ignorante” (nella migliore accezione possibile, sia chiaro), particolarmente efficace quando il boccone prende tutte le componenti del piatto, aglio incluso.

La cottura a bassa temperatura torna protagonista con l’anatra al melarancio, spadellata col suo foie gras e il suo fondo, accompagnato da una gelatina di mele ed olio Evo. Stefano Pinciaroli tira fuori dal cilindro un altro piatto dalla spiccata opulenza, con la gelatina che riesce appena a contrastare il fondo di anatra.

Una menzione speciale, infine, va al Dessert tricolore: una rivisitazione della nostra bandiera in cui il pomodoro appare sotto forma di marmellata, il basilico è nel biscotto salato e il bianco è dato dallo yogurt di capra. Il tutto appoggiato su un crumble di olive. Un piatto che non è una novità assoluta, ma stavolta eseguito con grande pulizia.

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