Da Lucio Fontana a Piero Manzoni, da Alighiero Boetti a Joseph Kosuth o Christo: al ristorante Pepe Nero di Prato lo chef Mirko Giannoni ha interpretato in modo intelligente e creativo le opere d’arte contemporanea con piatti che omaggiano i capolavori senza scimmiottarli o forzare la mano
Si dice che ormai nel mondo del food non si possa inventare (quasi) più nulla. Vero. Così come ormai non si contano i connubi tra cibo e – rispettivamente – arte, musica, poesia, moda, ecc…. Il più delle volte, fatte salve lodevoli eccezioni, tali commistioni si risolvono in sovrapposizioni persino forzate, accostamenti mossi più da ragioni di marketing che dall’effettiva volontà di analizzare, in modo più o meno giocoso, i diversi punti di contatto tra mondi diversi.
Eppure c’è chi è riuscito a dar vita in cucina a una serie di interpretazioni gastronomiche di opere d’arte contemporanea, in grado di ispirarsi ai capolavori senza però scimmiottarli o forzare la mano. Accade a Prato, al ristorante Pepe Nero, dove lo chef Mirko Giannoni è riuscito a celebrare nel piatto alcune delle opere della collezione d’arte appesa alle pareti del locale. I capolavori di autori come Lucio Fontana (foto in alto) o Piero Manzoni hanno fornito lo spunto – quasi lanciato il guanto di sfida – per una rielaborazione, che per fortuna è stata accorta, ponderata, intelligente, avveduta.
Prendiamo il caso di Joseph Kosuth e del suo quadro “Water”: non era facile, per lo chef Mirko Giannoni, creare un piatto avendo come materia prima di riferimento l’acqua. Eppure c’è riuscito, con il suo Scampo al vapore, sfera di acqua di mare e lime, dove la pellicola e il ghiaccio secco hanno creato il mood giusto per il piatto, minimalista e contemporaneo.
Più “semplice” ma potenzialmente molto più rischioso il secondo piatto, il “Pesce d’artista” (tonno confit in porchetta, fagioli cannellini e cipolla di Tropea) con cui lo chef ha inteso rifarsi alla celebre “Merda d’Artista” di Piero Manzoni. Sarebbe stato scontato, e forse di dubbio gusto, servire un piatto che ricalcasse troppo l’originale nella forma e nel colore. Invece la scelta della sobrietà ha regalato un piatto equilibrato e saporito.
Per il terzo piatto, il Pepe Nero ha pensato di ispirarsi a Christo, che notoriamente “impacchetta” le sue opere, nello specifico il suo Project 1973. Allo stesso modo, lo chef Mirko Giannoni ha voluto presentare da un lato le materie prime della sua tartara di dentice con ricotta della Calvana e pistacchi, e dall’altro le stesse materie lavorate a comporre il piatto, anch’esso coperto da un foglio e legato con uno spago.
Il quarto piatto, legato al meccanismo arte-cibo dall’omaggio a Geste 1966 di Ben Vautier, è risultato uno dei migliori: un risotto carnaroli che omaggia Prato, affiancando ai gamberi rossi la mortadella di Prato e il vermouth locale. Essendo un piatto in carta al Pepe Nero, ne parleremo presto in un post a sé, con dovizia di particolati. Al momento basti sapere che l’abbiamo assaggiato completamente bendati, riscoprendo il valore dell’olfatto come elemento chiave di una degustazione.
E passiamo al quinto piatto, omaggio ai celebri “tagli” di Lucio Fontana: il celebre Concetto spaziale 1965 viene rivisitato con un timballo d’ombrina, asparagi bianchi di Bassano, crema di topinambur e crumble di olive e noci, opportunamente servito su un velo di pellicola che viene furbamente tagliato dal cameriere al momento del servizio. Brillante l’idea – anche se non esattamente una novità assoluta, ma come detto ormai non si inventa più (quasi) nulla – mentre l’esito del piatto poteva essere migliore, con la crema di topinambur forse troppo “neutralizzante” nell’economia del piatto. A parziale riscatto, gli asparagi di Bassano (thanks, Andrea Venzo) hanno dato al piatto la croccantezza e la freschezza vegetale necessarie.
Il dessert metteva alla prova la brigata del Pepe Nero con l0 stile inconfondibile di Alighiero Boetti: come riproporre sotto forma di piatto le opere-lettere dell’artista torinese? Semplicemente (ma si fa presto a dire semplicemente…) riscrivendole sul piatto stesso, passando da millenovecentosettanta a duemiladiciassette.