giovedì 28 Marzo 2024
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Aspettando il Giubileo: la tavola di papa Bonifacio VIII

Aspettando il Giubileo straordinario, continuiamo la carrellata dedicata al rapporto tra i Pontefici e la buona tavola. Dopo aver parlato di Clemente VII (qui), adesso è la volta di Bonifacio VIII, il “papa sovrano” che “inventò” il Giubileo e improntò la sua mensa al massimo splendore. Ma che proprio lì visse nel terrore di essere avvelenato

Bonifacio VIII (Anagni, 1230 circa – Roma, 11 ottobre 1303)

“L’invenzione” del Giubileo

Della ricca e potente famiglia Caetani di Anagni, per accelerare la sua ascesa al Sacro Soglio, aveva vivamente consigliato “in gran rifiuto” al suo predecessore, il mite Celestino V, invitandolo a ritirarsi in pio eremitaggio, dimostrò così, subito, quanto forte e determinato fosse il suo potere. Benedetto Caetani, che scelse il nome di Bonifacio VIII, fu un vero Papa sovrano, consapevole che ogni suo gesto, anche, semplicemente quello di sedersi a tavola, lo doveva rivelare e comunicare a chi aveva la sorte di condividere con lui il momento conviviale. Si considerava monarca assoluto, autorità superiore ed indiscussa, e la sua mensa, come tutta la sua esistenza, doveva essere improntata al massimo splendore. La sua tavola, posta più in alto rispetto a quelle degli ospiti, fossero pure principi, re, altissimi prelati, doveva subito chiarire con chi avevano a che fare. Sono proprio gli inventari nascosti negli archivi, i ricettari, i registri delle spese delle cucine popolari ad aiutarmi a ricostruire la figura di questo Papa, gran signore convinto assertore del suo potere religioso, al disopra di tutti, compreso quello dell’Imperatore. Su tovaglie di delicato lino di Parigi, o preziosa seta lucchese, i cucchiai, “le furcelle” (rarissime ai tempi: forchette a 3 rebbi) così come saliere e salsiere, erano d’oro massiccio, finemente cesellato. Coppe, bicchieri, brocche, scintillavano coi bagliori delle più rare pietre dure.

Bonifacio

Il colto Pontefice buongustaio, che aveva studiato a Todi e Bologna, aveva condotto brillantemente missioni diplomatiche in Francia e Inghilterra. Era uno che sapeva vivere. Riteneva che la sua “COQUINA DOMINICA” o “SEGRETA” dovesse essere necessariamente gestita da “SUPER COCI” capocuochi per garantirne l’altissimo livello e non far sgarrare la brigata che aveva l’alto onore di servire Sua Santità ed i suoi illustri ospiti. Brodieri, Panettieri, Bottiglieri etc. avevano la responsabilità non solo dell’eccellenza dei piatti e bevande che preparate, ma anche quella di salvaguardare l’incolumità del Papa. Il Santo Padre aveva una gran paura del veleno! Temeva che un bocconcino stuzzicante e gustoso potesse celare una pozione mortale. Era talmente terrorizzato da pretendere che i bottiglieri restassero fermi, impalati “CORAM DOMINUM” (davanti a lui!) sia quando gli versavano l’acqua (era quella di Fiuggi perché non si fidava delle fontane romane) che il vino (CESANESE DEL PIGLIO, il suo preferito). Poi i SUPERCOCI, prima di servirgli le loro prelibatezze, dovevano infilzarvi uno strumento da lui fornito al momento, che ne avrebbe garantito la non tossicità. Questo era ASSAZUM, e Bonifacio ne aveva una collezione, come apprendo da un inventario: a forma di alberello, di lingua di serpente, di unicorno…

03_Stemma Papa Giovanni Paolo I

Ma perché aveva tanta paura? Chi poteva voler male a Sua Santità? In realtà il suo strapotere arrogante, il suo eccessivo peso politico ed economico urtava molte suscettibilità, come quella di Filippo Il Bello, re di Francia che stava diventando uno stato forte e autonomo e che si era stufato di pagare tasse e decime al Papa e perciò aveva confiscato, infischiandosene di bolle e scomuniche, tutti i beni della Chiesa. Poi c’era la potente famiglia romana del Colonna, grande sostenitrice del pio Celestino V, che languiva nell’eremo, gliela aveva giurata. Ma col colpo di genio della grande Perdonanza , il Giubileo, Bonifacio giocò una carta vincente che lo portò al massimo della potenza e della visibilità nel mondo cristiano. Questo evento epocale avrebbe poi rimpinguato le casse pontificie sempre un po’ languenti, portando a Roma migliaia di pellegrini pronti a versare generosi oboli per vedersi cancellati i peccati. Bonifacio proclamò che ogni 100 anni la Chiesa avrebbe offerto a tutti la possibilità di tornare ad avere un anima candida come la neve, venendo in devoto pellegrinaggio a Roma, visitando le basiliche dei Santi Pietro e Paolo. Così il 22 febbraio 1300 dichiarò aperto l’anno del Perdono. Le sue parole si possono leggere anche oggi nell’architrave della porta maggiore del Duomo di Siena: “Annus Centenus-Romae semper est jubileus/Crimina laxantur- cui poenitet ista donatur/ Hoc declaravit-Bonifacius et roboravit” (L’anno centesimo a Roma e sempre giubilare/I peccati sono assolti le pene condonate/ Questo dichiarò Bonifacio e confermò)

Questa voce di perdono e fede corse per l’Europa e migliaia di persone si incamminarono verso Roma piene di entusiasmo, affrontarono viaggi lunghi e pericolosi pur di arrivare alla città del Papa, alla città del perdono. Questo Giubileo fu un grande successo religioso ma anche un ottimo affare per la curia spendereccia che mostrò gradire molto i soldoni delle offerte. Bonifacio in quei giorni potè assaporare, nella sua pienezza il senso della sua potenza quasi divina (Gregorovius F. La Storia dei Papi). Ma ne questo trionfo, né le mille sue statue che fece erigere in tante città come Bologna, Orvieto, Firenze etc…placarono i suoi detrattori come Dante Alighieri che gli serbò, nella Divina Commedia, un bel posticino all’Inferno nella bolgia dei Simoniaci.

Ma triste fu la fine di questo grande Papa, ambizioso ed autoritario, ultimo a concepire la Chiesa come dominatrice del mondo e molto più vicina alla terra che al cielo. Infatti sotto il vessillo gigliato del Re di Francia di Filippo il Bello, il suo emissario Filippo di Nogaret, fatta comunella con gli odiati Colonna, il 7 settembre 1303, entrò in Anagni e con intenzioni tutt’altro che pacifiche, irrompendo nel palazzo di Bonifacio. Vistosi, alla brutta parata, il Pontefice per difendersi e impressionare e gli aggressori, si addobbò nel modo più solenne, imponente, esibendo tutti i simboli del suo potere. Questo non gli evitò uno schiaffone (vero o metaforico?) dalla mano guantata di ferro del condottiero francese!. Il suo mondo anacronistico era giunto alla fine. Ma di lui rimane l’idea del Giubile, ed il ricordo goloso del suo gusto per il buon cibo in una ricetta familiare della tradizione di Anagni.

La ricetta – Timballo alla Bonifacio VIII

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Ingredienti per 4 pax: Pasta per timballi preparata con gr 250 di farina, 120 di burro, 2 uova intere, un pizzico di sale, ½ dl d’acqua.

Imburrare lo stampo da timballo e infornarlo e foderarlo di pasta. Lasciare un po’ di impasto per il coperchio che deve cuocersi a parte su una placca leggermente imburrata. Cuocere a 180° per circa 20 minuti. Una volta cotta la crosta, lasciarla freddare, estrarla dallo stampo, fino al momento di riempirlo. Ripieno: 500 gr di fettuccine all’uovo, 250 gr di ragù, 250gr di fegatini di pollo cotti in olio e burro, marinati con prezzemolo e mentuccia. Gr150 di funghi porcini tagliati a lamelle e cotti con olio e aromi. ½ tartufo nero tagliato a velo. Gr250 di prosciutto cotto a fette larghe. Cuocere le tagliatelle e condire col ragù. Riempire lo stampo di pasta alternando strati di pasta, fegatini, tartufo e fette di prosciutto e finire con una fetta di prosciutto. Mettervi sopra il coperchio di pasta. Passare in forno per qualche minuto. Ritirare il timballo, farlo riposare un paio di minuti. Sfornarlo e servire. Sarà all’altezza di appetiti papali.

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