venerdì 26 Aprile 2024
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Cosenza e dintorni, viaggio alla scoperta delle eccellenze gastronomiche calabresi

Dalla liquirizia al maiale nero, dai vini liquorosi ai formaggi: Cosenza e dintorni, con la sua provincia, hanno una quantità di eccellenze, spesso sconosciute ai più, che merita una (ri)scoperta e un’attenzione per questo pezzetto di Sud Italia

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Possedere un patrimonio enogastronomico e non farlo conoscere equivale pericolosamente a non averlo. Ecco perché fanno bene Cosenza e la sua provincia a far sì che eccellenze come la liquirizia o il suino nero inizino a oltrepassare i confini regionali per farsi conoscere a un pubblico più vasto. Anche perché una volta tanto si può uscire dallo stereotipo mainstream di una Calabria che piange il gap con le altre regioni italiane, per raccontare invece gli sforzi di un territorio e dei suoi protagonisti. Pensiamo all’olio, di cui è la seconda regione d’Italia per produzione: la Calabria trova nella provincia di Cosenza una delle zone a maggiore vocazione olivicola, dalle colline joniche presilane alla fascia prepollinica, dalla Sibaritide e dalla Valle del Crati, giunge sulle nostre tavole l’olio bruzio Dop dal sapore spiccato ma altamente digeribile.

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Croce e delizia di chi vi è nato, la Calabria – e soprattutto il cosentino – trova forza nella biodiversità e nella ricchezza del patrimonio gastronomico, a loro volta frutto del meltin’ pot di dominatori che vi si sono avvicendati, dai Longobardi ai Saraceni, dai Bizantini ai Normanni, dai Borboni fino ai francesi e ai piemontesi. Ecco perché una chiave di lettura ideale, per un viaggio nel cuore di questa regione, può essere proprio la scoperta delle sue tradizioni a tavola: al riguardo, è proprio ciò che propone “Gusto in Movimento” di Salvatore Lione e Franco Morrone. Poi il resto vien da sé, passeggiando per il centro storico di Cosenza o arrivando – anche in treno, volendo – nei paesini della Sila dove il tempo sembra essersi fermato e con un po’ di fortuna si può incrociare qualche lupo prima di sedersi a tavola ad assaggiare porcini di prima qualità.

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Una prima tappa, ad esempio, è quella che porta a conoscere il caciocavallo silano Dop, che numerosi piccoli caseifici a gestione familiare portano producono sull’altopiano della Sila, a Camigliatello. Abbiamo visitato quello di Antonella Greco (vicepresidente nazionale di Donne in campo, peraltro) legato all’agriturismo Quattro stelle. Qui il caciocavallo viene filato da mani esperte e offerto nel punto vendita aziendale. L’arte casearia calabrese è di origine antichissima, per cui diversi sono i formaggi prodotti in questi luoghi. Ma il trono spetta senza dubbio al Caciocavallo silano, alimento sano e genuino,  dalla tradizionale forma ovale. Un prodotto in grado di soddisfare dai palati delicati a quelli amanti dei sapori forti, perfetto per essere accompagnato dal pane di Tessano, frazione della vicina Dipignano, la cui produzione ha mantenute intatte ricette e tradizioni che hanno caratterizzato la qualità del pane “casereccio”.

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Una seconda eccellenza di zona è la patata della Sila IGP, di cui Salvatore Tarasi detto Sasà è un esperto: si tratta di una specie autoctona dal sapore intenso che per questo motivo è apprezzata fuori dai confini regionali per le sue qualità organolettiche e nutrizionali, ma magari ancora poco nota al consumatore finale. Le due varietà maggiormente prodotte sono la Marabel e Agria, particolarmente vocate alla frittura e punto di partenza per le patate ‘mpacchiuse. La patata della Sila è coltivata in quota, ad oltre 1000 metri: ha una percentuale di amido maggiore rispetto alla media, si presenta in forma tonda e con buccia resistente dopo lo sfregamento. La sua coltivazione è antica, se si pensa che dalla patata silana si fa menzione nella statistica del Regno di Napoli del 1811. La Sagra della patata di Camigliatello si tiene tra fine ottobre e novembre in concomitanza con la mostra dell’artigianato locale.

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Sempre tra coloro che portano avanti una battaglia per la qualità delle produzioni locali c’è Adriano Ferrari, che alleva e trasforma ogni anno solo poche decine di capi del pregiato Suino Nero calabrese, che poi diventano capocolli, soppressate, pancetta e ‘Nduja, il salame dal gusto decisamente marcato, con una forte presenza di peperoncino. La razza “Nera Calabrese” ha origini antiche e due sono le ipotesi: una la fa discendere dal ceppo iberico, l’altra da quello romanico. La diffusione era a carattere areale circoscritta in cui è ancora presente l’allevamento del suino nero ed era distinta in diverse “varietà” locali (Reggitana, Cosentina, Orielese, Lagonegrese, Catanzarese Casalinga e altri). Se il numero dei suini è calato dagli anni Settanta fino a farne rischiare la totale estinzione, l’azione di recupero e salvaguardia della razza intrapresa ha dato buoni risultati: le aziende agricole di Cosenza e dintorni hanno sposato questa missione con notevole soddisfazione sia per la qualità dei propri riproduttori sia per la qualità delle carni fresche che vengono trasformate in salumi tipici.

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Un capitolo a parte merita la liquirizia, un campo dove Antonio Massarotto – presidente del Consorzio di tutela della liquirizia Dop di Calabria, la più pregiata del mondo – produce e trasforma questo “oro nero” che solo dal 2011 ha ottenuto la denominazione di origine protetta. A ben vedere, il mondo della liquirizia è tutto da scoprire e nasce dalle radici della pianta che diventano mature per la lavorazione solo ogni quattro anni. Dopo lo scavo e la prima asciugatura inizia il processo di estrazione del succo, che passaggio dopo passaggio diventa una massa nera che poi viene spezzettata e lavorata nei formati che conosciamo, fino alla polvere tanto usata nella gastronomia contemporanea.

Cosenza e dintorni, viaggio alla scoperta delle eccellenze gastronomiche calabresi

Solo l’azienda di Antonio Massarotto, la “NaturaMed”, produce 180 tonnellate l’anno di liquirizia, con una quota di export del 75% sui mercati di tutto il pianeta. La produzione di Cosenza e dintorni, riconosciuta come una delle migliori al mondo, si concentra nei comuni jonici di Rossano e Corigliano, territori sulle cui coste l’antichissima pianta nasce spontaneamente.

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Anche sui vini, il territorio di Cosenza e dintorni sta facendo passi importanti con i vitigni autoctoni come il Gaglioppo: oltre a nomi come la famiglia Pacelli a Malvito oppure la Tenuta Terre Nobili di Lidia Matera, c’è un nome sta incassando il riconoscimento unanime delle più prestigiose guide di settore. È quello delle Cantine Viola a Saracena, dove nasce un moscato/passito bio di alta qualità, per lungo tempo a rischio di estinzione, che ben si abbina a formaggi semistagionati. L’eterogeneità dei terreni e il mantenimento di antiche tradizioni enologiche fanno sì che il cosentino risulti uno dei territori più ricchi di varietà di uve, dal Magliocco al già citato Gaglioppo. Attualmente la regione vanta la produzione di oltre dieci vini Doc e diverse Igt. Tra i vitigni a bacca bianca segnaliamo il Greco Bianco, che va a comporre i bianchi secchi ed è una varietà opzionale nei rossi e rosati Doc, e il Pecorello Bianco (o di Rogliano), che si coltiva nella zona del Savuto e produce un vino di buona struttura.

Cosenza e dintorni, viaggio alla scoperta delle eccellenze gastronomiche calabresi

Fin qui la provincia, ossia Cosenza e dintorni. Veniamo alla città, che dal punto di vista gastronomico conta piccole trattorie nascoste tra i vicoli della città vecchia – alla confluenza tra i fiumi Crati e Busento, dove secondo la leggenda sarebbe sepolto il re Alarico con tutto il suo tesoro – fianco a fianco con ristoranti più eleganti, come quello ricavato dai saloni dello storico e nobiliare Palazzo Salfi. Come il ristorante “La cantina di Palazzo Salfi” ospita sculture e dipinti di foggia contemporanea, del resto, così l’intera area di Cosenza ha sviluppato negli ultimi anni un nuovo interesse verso l’arte e il design. Ne sono testimonianza il museo all’aperto Bilotti (ex piazza Fera) o i “Box Art”, minuscoli atelier sul fiume che ospitano artisti internazionali.

Cosenza e dintorni, viaggio alla scoperta delle eccellenze gastronomiche calabresi

E la Cosenza gastronomica non si esaurisce certo qui: altro prodotto di cui la città può andar fiera è il dottato cosentino, una delle più pregiate qualità di fichi tra le settecento esistenti. Coltivati per lo più nella valle del Crati, anche in virtù di un idoneo clima collinare, si consumano freschi nei primi tempi della raccolta, oppure essiccati e poi lavorati in diversi modi tradizionali: aromatizzati all’arancia o al limone, farciti con pezzi di noci, mandorle e cannella nella famosa ricetta “a crocetta”, “steccati” su un ramoscello di mirto, o ancora imbottiti di mandorle e noci, e ricoperti di cioccolato. E ancora: il pomodoro di Belmonte o le clementine Igp della Piana di Sibari che, oltre ad essere particolarmente rinfrescanti e diuretiche, posseggono un elevato contenuto di zuccheri disponibili. Degni di nota anche il cedro della costa tirrenica, i funghi della Sila, la castagna di Fagnano Castello, la “Rosamarina”, piccolissimo pesce condito da sale e peperoncino, considerato il “caviale dei poveri”. Last but not least, il peperoncino piccante, simbolo dell’arte culinaria calabrese, che trova il suo utilizzo nella realizzazione di primi e secondi piatti, e addirittura nella preparazione di dolci, gelati e distillati.

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