Nel primo giorno di riapertura di bar e ristoranti, siamo andati a pranzo da Burde (Firenze), in trattoria, per capire cosa significa mangiare fuori ai tempi della Fase 2
Diciamoci la verità: non sarà come prima, ma francamente pranzare al ristorante ai tempi della Fase 2 dell’emergenza Coronavirus non è poi così male. Niente plexiglass, niente di quella diffusa asetticità che avrebbe tolto anche al commensale più affamato il gusto di un pasto. Per “vedere di nascosto l’effetto che fa” (op. cit.) siamo andati a pranzo in una delle trattoria fiorentine più note, da Burde, anche perché è una di quelle che non si è mai fermata, proponendo delivery e take away anche nei momenti più difficili, non appena le leggi lo hanno reso possibile.
Arriviamo in via Pistoiese poco prima delle 13, pensando forse di trovare parecchia folla desiderosa di bagnare il ritorno alla quasi-normalità con un pranzo. Invece poca gente, niente fila, atmosfera rilassata come è nelle corde del duo formato da Paoloe Andrea Gori. Se fuori dalla porta vengono mostrate tutte le indicazioni del caso sul distanziamento sociale, appena varcata la soglia fanno mostra di sé il menù scaricabile col QR code (ma è molto più comodo il buon vecchio foglio di carta) e il gel igienizzante.
Entrati in sala, Andrea ci mostra come la trattoria da Burde affronta l’emergenza: tavoli apparecchiati in modo alternato, in modo che tra spalla e spalla – anche in diagonale – ci sia il famoso metro di distanza, e a ogni commensale costretto a togliersi la mascherina viene consegnata una bustina (foto in basso) per riporre il DPI e mangiare tranquilli.
Per il resto, come detto, l’esperienza del pranzo in Fase 2 non è così male. Non ci sono i temutissimi schermi di plexiglass a intimidire i commensali, l’odore del gel disinfettante per le mani – né del prodotto usato per sanificare i tavoli dopo ogni turno – non invade l’aria al punto di interferire coi sapori, e la mancanza di troppi clienti garantisce tempi di servizio veloci. L’ottimismo di Paolo e Andrea è palpabile, così come un senso di riconquistata libertà da parte della clientela. Al netto delle mille difficoltà (economiche, logistiche, legali) con cui sono alle prese i ristoratori, forse il diavolo non è poi così brutto come lo si dipinge. Almeno in via Pistoiese…