venerdì 29 Marzo 2024

Cibo & tv: i primi 20 anni di EatParade raccontati da Bruno Gambacorta

La trasmissione tv “EatParade” (Rai2) compie 20 anni: il suo ideatore e conduttore Bruno Gambacorta ci racconta come è cambiata la rubrica, insieme all’intero sistema della gastronomia in tv, e i momenti salienti dell’ultimo ventennio

EatParade bruno gambacorta

Quando ha iniziato ad andare in onda, in tempi pre-internet, chi voleva sapere qualcosa sul culatello di Zibello o sulle ciliegie di Vignola non aveva altra scelta che prendere un libro e documentarsi. Poi nel 1998 è arrivata “EatParade“, appuntamento settimanale in chiusura del Tg2, e l’informazione gastronomica non fu più la stessa. Oggi che la rubrica di Rai2 spegne le sue prime venti candeline, festeggiando a Montecatini Terme in occasione di Food & Book, abbiamo chiesto al suo ideatore e conduttore – il giornalista napoletano Bruno Gambacorta – di raccontarci il modo in cui la rubrica ha vissuto e vive oggi, in un contesto in cui il cibo in tv è cambiato in maniera sostanziale.

EatParade bruno gambacorta

Qual era il panorama che hai trovato, quando hai iniziato?

A livello di telegiornali, di enogastronomia non si parlava quasi mai: al massimo a Natale, col menu dello chef amico, oppure prima delle vacanze con il servizio sulla dieta e sulla prova costume. Anche a livello di programmi non giornalistici, il panorama non era certo florido: c’erano LineaVerde e i programmi con Luigi Veronelli, Davide Paolini o Edoardo Raspelli. Ma quello che all’inizio era un panorama abbastanza povero è cresciuto col tempo fino agli ultimi anni, che hanno visto il moltiplicarsi di trasmissioni dedicate a questo argomento. Fino alla rivoluzione dei talent, da Masterchef in poi.

EatParade bruno gambacorta

Da allora ad oggi, come è cambiata EatParade?

Non so se sia un pregio o un difetto, ma il format è cambiato davvero molto poco, anche perché da vent’anni continuo a occuparmene io nello stesso modo. Rispetto alle altre rubriche del Tg2, EatParade ha elementi distintivi, a partire dal fatto che non c’è un conduttore. Si tratta di una scelta studiata: lo spazio è poco, cerchiamo di non sprecarlo con interventi in studio. Badiamo al sodo: abbiamo 11 minuti e vogliamo dedicarli a cibo e vino. È cambiata la sigla tre volte, questo sì, ma la formula resta uguale: chi verrà a Montecatini potrà verificarlo, perché manderemo in onda la puntata numero 2. Inoltre, da quel lontano 1998 è arrivato l’HD, i 16/9, ma nella sostanza non ci siamo trasformati: negli anni abbiamo replicato episodi di 15 anni fa e andavano ancora piuttosto bene.

EatParade bruno gambacorta

C’è qualche servizio rimasto particolarmente impresso, in vent’anni di EatParade?

Sì, penso al servizio sul Salone del gusto di Torino, che fu uno dei primi realizzati dalla nostra rubrica. Peraltro, si trattava della prima vera edizione della kermesse: fu molto bello andare lì e raccontarlo con uno spazio dedicato, portando nelle case degli italiani qualcosa che per molti versi era ancora sconosciuto, a loro e in fondo anche a noi. Eravamo l’unica tv presente. Poi nel corso degli anni ci sono tornato sempre più raramente, perché circondato da tanta, troppa concorrenza. Un altro servizio da ricordare va ripescato tra quelli girati all’estero (ne abbiamo realizzati davvero pochi, anche perché già l’Italia è ricchissima di spunti): era un reportage in Australia sull’apporto della comunità italiana nel tessuto gastronomico locale. Oggi è una delle comunità più note, l’avamposto di un’esportazione miliardaria che porta soldi e visibilità al nostro Paese, ma all’epoca erano precursori, emigranti che cercavano di compiere un passo in avanti rispetto a piatti di  derivazione anglosassone.

EatParade bruno gambacorta

In vent’anni di EatParade credi di aver girato e raccontato tutta l’Italia?

Beh, credo di averla girata tutta. Difficile trovare un posto dove le nostre telecamere non siano state. Essendo solo, comunque, più di così non si può fare. Per assemblare una puntata mi servono tre giorni ogni settimana: per uno o due giorni si gira, il resto è montaggio. A ben vedere, è un piccolo miracolo che ogni settimana si riesca ad andare in onda: è una lotta continua contro il tempo e la scarsità di risorse. A sessant’anni suonati non posso girare immagini per cinque giorni di seguito come capitava i primi anni.

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Qual è invece la situazione più bizzarra che ti è capitata?

Diciamo che per anni sono stato spesso confuso con il collega Bruno Gambarotta, personaggio televisivo di grande visibilità. Nonostante tra noi passino più di vent’anni di differenza d’età, la somiglianza tra i nostri nomi generava qualche equivoco (anche perché in rete gira una biografia dove Bruno risulta del ’48 anziché del ’58, ndF). Poi le persone magari mi incontravano e pensavano che fossi miracolosamente ringiovanito. L’equivoco è durato per anni. Quando potevo, dal canto mio, mandavo in onda Gambarotta apposta per far vedere che siamo due persone diverse.

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