Fu Luca Picchi, all’epoca barman nel Caffe’ Rivoire (Firenze), ad aver rielaborato una vecchia ricetta che ci consente di riassaggiare un gran cocktail, il “Philapelphia fisch house punch”
Merito di Luca Picchi, all’epoca barman nello storico Caffe’ Rivoire di piazza della Signoria, a Firenze (e oggi al Caffè Gilli). E’ a lui che si deve la rielaborazione di una vecchia ricetta che ha consentito di”riassaggiare” un grande drink. Un orgoglio per Luca ricordare come si possa affermare che il primo vero cocktail della storia ” sia nato in India colonia inglese dal XVIII secolo, ma già Paese che intratteneva rapporti commerciali con la Gran Bretagna dal 1600, ai tempi della Compagnia delle Indie Orientali”. Anche se la parola cocktail fu usata per la prima volta su una rivista americana (The Balance, 6 maggio 1806), il “punch” fu un concetto di miscela che gli inglesi coniarono per dare vita a innumerevoli e varie bevande, mescolando ingredienti diversi, che si potevano bere sia calde, nei periodi freddi, che fredde nei periodi caldi.
“L’etimologia della parola – spiega Luca Picchi – deriva da un termine arcaico hindi: paintch che significa ‘5’, ma che era intesa come mano o pugno, sottintendendo le cinque dita”. Cinque allora gli elementi che componevano questi arcaici proto-cocktail.
Fu così coniata una filastrocca per ricordarne la struttura che suonava in tal modo:
One of sour (limone/lime = acido)
Two of sweet (zucchero = dolce)
Three of strong (spirito/alcool = forte)
Four of weak (diluizione/allungamento = leggero)
Five of spice (spezie/aromi = profumi,gusto,colore)
Bevanda, dunque, perfettamente bilanciata con questi criteri. Questo concetto di drink venne esportato in Europa nel 1700 ma non ebbe però molta rilevanza. Ne ebbe invece per i coloni delle Indie Occidentali che lo diffusero nei nascenti Stati Uniti d’America dalla seconda metà di quel secolo.
Molto successo i cocktail lo ebbero presso corsari e pirati, che non potendo fare scorte sufficienti di acqua (spesso inquinata), elaboravano questi drink prendendo frutta e spezie nelle isole dei mari mescolandole con il “guildive” o “tafia” (progenitore del rum) che stivavano in abbondanza nelle stive delle navi.
Dal punch sono nate moltissime tipologie di cocktail, tuttora attuali: Collins, Fizz, Daisy, Julep, Fix, Cobbler e altri ancora. Ed è da qui che tradizionalmente si fa risalire il welcome drink dei locali più famosi e la rielaborazione del Philadelphia fisch house punch.
Come ottenerlo? Ecco il segreto:
– Scorza di arancio e limone
– Zucchero
– Mistura di brandy, Rum Jamaica, peach brandy e orange brandy
– Acqua calda, the nero o Earl Grey
– Spremuta di limone o lime.
Si pestano le scorze con poca acqua e brandy e lo zucchero fino ad ottenere un oleum saccharum.
Si prepara la mistura, si spremono i limoni e si aggiunge il tutto in una casseruola con acqua calda.
Si lascia riposare almeno sei ore girandolo più volte per amalgamare i profumi.
Si assaggia per correggere lo zucchero (si bilancia così il succo di limone) e si filtra raffreddando.
“Servirlo da una teiera in vetro in un calice anche da vino con ghiaccio e frutta fresca di stagione – precisa con meticolosa professionalità Luca Picchi – è il massimo. Senza dimenticare di mettere anche scorzetta di limone e germoglio di mentuccia”.