Dopo la querelle che ha travolto lo chef Gianluca Gorini, il #Blacklivematters ha portato una nuova ondata di revisionismo che non risparmia dolci e gelati. Così anche la coppa gelato può diventare razzista
Che la situazione potesse scappare un po’ di mano lo si era iniziato a capire quando le statue di Cristoforo Colombo sono state buttate giù perché celebrative di un personaggio giudicato “razzista”. Che il contatto con la realtà si fosse talvolta smarrito lo si è capito quando persino su Mohandas “Mahatma” Gandhi si sono addensate ombre di razzismo. Adesso, l’onda lunga del revisionismo travolge – insieme alle squadre di baseball e ai cioccolatini svizzeri, per non parlare dello shitstorm che l’anno scorso coinvolse lo chef Gianluca Gorini durante la kermesse Gelinaz – anche il mondo del gelato.
Accade in Francia, dove il celebre locale “Poussin Bleu” a Saint-Raphaël è stato oggetto di contestazioni a causa di due coppe di gelato i cui nomi, secondo alcuni, trasmettono pregiudizi razzisti. I nomi dei gelati prodotti nella struttura, risalente al 1947 e fondato da un italiano sfuggito alle maglie del regime fascista, non hanno avuto problemi di sorta per generazioni: ma tra gusti come “Clown”, “Vulcano”, “Tulipano” ce n’erano un paio – nello specifico, l’Africano e il Cinese – che hanno fatto gridare al gastro-razzismo. Mentre il “White Lady” non ha suscitato analogo disappunto, per la cronaca.
In particolare, sulla graticola è finito un gelato al cioccolato guarnito con panna montata, impreziosito da un crumble di meringa al cioccolato e un pizzico di marzapane rosso. Sotto l’onda delle proteste non sempre pacate, i titolari del “Poussin Bleu” si sono affrettati a cancellare i due gelati dal loro menu di dessert. “Di fronte a questa vendetta popolare, a dir poco violenta – spiega Stéphane – abbiamo preferito ritirare due delle nostre coppe di gelato tra quelle che hanno avuto maggior successo. La carta è rimasta invariata dal 1947, e da allora nessuno ci ha messo alla berlina e insultato come è stato fatto in meno di 48 ore”.
In realtà le proteste stavolta non sono proprio peregrine: più che i nomi in sé, infatti, è la rappresentazione visiva stereotipata del topos cinese e africano ad aver fatto storcere il naso. A riprova che non sia sempre facile definire la linea di demarcazione tra la protesta legittima e la overreaction (la reazione eccessiva, in inglese), basti pensare che la Francia non è un caso isolato: è di pochi giorni prima la notizia che chiamare un gelato “Eskimo” – cioè eschimese – sia razzista e offensivo verso gli Inuit e tutte le popolazioni artiche e della Groenlandia. Un popolare prodotto della gelateria danese Hansens, la cui sede centrale è in periferia di Copenhagen, ha deciso di cambiare nome al suo prodotto. Si chianerà O’Payo, dal nome del tipo di cioccolato con cui viene prodotto.
A scanso di equivoci e per fugare ogni dubbio, siamo favorevolissimi al fatto che il movimento #Blacklivematters stia contribuendo a livello globale a combattere ingiustizie e discriminazioni verso le persone di colore e, in senso lato, qualsiasi minoranza. Ma proprio perché una così nobile causa non può prestare il fianco ad attacchi che ne minino la credibilità, crediamo sia necessario che il buon senso non venga accantonato a vantaggio di estremismi lessicali (più giustificabili invece nel caso delle immagini stereotipate). Non è questione di sensibilità, ma di ragionevolezza. Altrimenti, non è così lontano il giorno in cui il nostro amato Amaro Montenegro sarà costretto a cambiare denominazione.