venerdì 26 Aprile 2024
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Pretese di informazione: come NON si scrive una guida ai ristoranti

Editing imbarazzante, contenuti ancora peggio, scelte editoriali prive di senso, una sequela di errori: insomma, tutto ciò che non va fatto quando si vuol scrivere una guida ai ristoranti con un minimo di pretesa di serietà

Una precisazione, prima di iniziare a leggere. Gli amanti del politically correct o i fautori del “cane non mangia cane” possono tranquillamente chiudere questa pagina e continuare a navigare altrove. Per tutti gli altri, una breve introduzione metodologica: lungi da me censurare alcunché o mettere in dubbio la libertà di ognuno di scrivere ciò che preferisce, quanto sto per scrivere risponde prima di tutto a una mia indignazione da utente: perché così poca attenzione (che si traduce in scarso rispetto per il lettore), perché impiegare tempo e risorse (non fosse altro gli alberi abbattuti per realizzare quelle pagine….) per un lavoro così dozzinale? Non credo certamente di essere il migliore, né più bravo di tanti altri colleghi del settore, ma se fino a ieri ero convinto di non essere in grado di scrivere una guida, adesso qualche dubbio mi viene…
Buona lettura

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L’ho incontrata la prima volta di sfuggita in un locale, ma non ho fatto in tempo a leggerla con calma. La seconda volta ho avuto maggiore fortuna (o così pensavo, ignorando cosa mi aspettava): in attesa che la Margherita con bufala cuocesse nel forno di una pizzeria, l’occhio mi è caduto sulla guida Il mangiar bene in Toscana il cui sottotitolo – Guida Gastronomica – non lasciava dubbio sulle intenzioni di chi l’ha pensata e realizzata. Avendo un minimo di esperienza nel settore, l’ho aperta e l’ho sfogliata con attenzione e curiosità. Ed è stato subito dramma, non sapevo se mettermi a ridere o incazzarmi: il mio primo pensiero è stato “ma come si fa a creare una guida così poco professionale?”. Recensione dopo recensione, la mia convinzione che quella pubblicazione fosse stata scritta in metà pomeriggio è diventata sempre più radicata.

IL PREMIO – Il primo colpo arriva alla seconda pagina, dove viene assegnato il premio per il “Miglior ristorante dell’anno”. E’ stato dato a un locale del pistoiese, dove altri fonti mi dicono che effettivamente non si mangi male. La motivazione, però, è imbarazzante. Non fosse altro che inizia con: “E’ il punto fermo della ristorazione toscana”. Esatto: IL punto fermo della ristorazione toscana. Ora, con tutta la buona volontà, volete davvero farci credere che il punto fermo della ristorazione toscana sia un locale a Borgo Buggianese, in provincia di Pistoia? Dunque il Gambero Rosso, la Guida Michelin, l’Espresso e così via non hanno capito mai nulla, nel dare punteggi più alti a decine di altri ristoranti? Mi sforzo di ricordare un vecchio motto del periodo in cui ero laureando: “Puoi sostenere qualsiasi tesi, purché tu sia in grado di argomentarla”. Quindi mi metto a leggere la motivazione, per capire come ho fatto a diventare un giornalista enogastronomico ignorando per 13 anni il punto fermo della ristorazione toscana. Così scopro che i due titolari “da 25 anni deliziano la propria clientela con piatti di pesce freschissimo dal sapore inarrivabile in grado di soddisfare anche i palati più esigenti“. Tutto qui. Al di là dell’insopportabile retorica (quale altra clientela dovrebbero deliziare, se non la loro?), aggettivi come inarrivabile dovrebbero essere centellinati, per mantenere un minimo di credibilità. Sennò facciamo la fine di quel tale che definiva “straordinario” ogni piatto col risultato di appiattirli tutti allo stesso – ordinario – livello.

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L’INTRODUZIONE – Arriviamo a pagina 3, dove l’indice – un elemento fondamentale in ogni volume, non solo nelle guide – viene liquidato in quattro righe. La pagina successiva introduce alla guida, ribadendo la presenza dei “maggiori interpreti del nostro successo culinario“, mentre quando arriva il momento di citare i vini la menzione va al duo Chianti-Brunello sic et sempliciter, fornendo due nomi che persino un turista neozelandese già probabilmente conosce. Bene, dopo aver dato la preziosa informazione che in Toscana si bevono Chianti e Brunello, l’introduzione finisce con “l’augurio, ma potrei dire, la certezza, di un sano momento culinario nella nostra terra, da ricordare nel tempo“. Iniziamo, dunque, stendendo un velo pietoso sulle tre ricette menzionate: di una (Bistecca alla fiorentina) c’è davvero la ricetta, di un’altra (la ribollita) c’è solo la foto, mentre della terza (Il lampredotto) c’è soltanto il nome. Un altro velo va sulle traduzioni in inglese, dove le imprecisioni stilistiche e gli errori grammaticali si contano a decine. Il terzo velo – non c’è due senza tre, in fondo – va steso sull’aggiornamento: in almeno un caso, il locale ha cambiato sede ma nella guida (finita di stampare a novembre 2013) è riportato il vecchio indirizzo.

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LE RECENSIONI/1 – Una a caso… anzi no. Essendo stato da poco all’Enoteca Pinchiorri, decido di partire da lì. E sulla guida scopro che è “uno dei migliori locali d’Europa e del Mondo (sì, proprio con la maiuscola…), un grande vanto per la cucina toscana e italiana, di cui da tanti anni è ai vertici. La cantina, (sì, la virgola tra soggetto e verbo) conta 200.000 vini, una collezione dei migliori vini di Francia, Italia, California, oltre ad una collezione fantastica di Armagnac ed altri brandies (sì, al plurale). Che dire ancora (sei una guida, devi dirmelo tu…) oltre che – ahimè – il prezzo non è alla portata di tutti, che il titolare Giorgio Pinchiorri ha aperto un locale simile a Tokyo, di gran successo, dando ulteriore lustro e prestigio alla cucina toscana e italiana. Chapeaux (forse voleva dire chapeau). Insomma, chi cerca qualche informazione concreta ne sa esattamente quanto prima, a meno che non abbia trascorso su Marte gli ultimi anni. Non un cenno sulle commistioni gastronomiche francesi, merito della non menzionata Annie Feolde, né sul tipo di cucina o di ambiente cui si va incontro.

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LE RECENSIONI/2 – Di un altro ristorante viene detto: “Uno dei ristoranti centenari della città dove la migliore tradizione fiorentina e toscana trova la sua giusta realizzazione. Amato dai locali e dai turisti che vogliono regalarsi un momento culinario importante nella nostra città“. Tutto qui. Non è dato sapere cosa si mangi di preciso, quali siano i punti di forza del locale, perché mai debba essere preferito rispetto alle altre decine di locali analoghi a Firenze. Ma è di nuovo sui locali di alta fascia che la guida ci regala un’altra perla: “Spiegare in poche parole che cosa ci si deve aspettare al Cibreo è cosa aruda, forse riesce meglio spiegare che cosa non ci si deve aspettare al Cibreo. Sicuramente non ci si deve aspettare di andare via non soddisfatti, visto la qualità dei sapori e degli ingredienti serviti, uniti alla ormai risaputa maestria. La sosta non può che risultare indimenticabile”. Peccato che spiegare cosa ci si deve aspettare in un locale è esattamente ciò che viene chiesto a una guida, altro che impresa ardua. Lo sarebbe meno se metà spazio della recensione non venisse rubato da un consunto giro di parole, un artificio retorico che prende spazio a informazioni più concrete. Fermo restando che conosco personalmente chi è uscito dal Cibreo non propriamente soddisfatto, provo a mettermi nei panni del turista. Cosa ha imparato, il viaggiatore, da questa recensione? Non sa se è un ristorante di carne o pesce, quali siano le specialità, e mi fermo qui per non essere ripetitivo.

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