Abbiamo provato l’esperienza di soggiornare al Ritz Carlton Hotel di Hong Kong, l’albergo più alto del mondo. Ecco cosa si prova a dormire a quasi 500 metri d’altezza, al 118° piano di un grattacielo che tocca le nuvole asiatiche
In fondo, è l’antico privilegio di poter guardare tutto (e tutti) dall’alto in basso: c’è un gusto indescrivibile, quasi irreale, nell’affacciarsi alla finestra della propria camera d’hotel e – abbassando lo sguardo – osservare la cima degli altri grattacieli, con un’inversione di prospettiva speculare rispetto a chi si trova al livello del suolo. E’ una questione, insomma, di punti di vista. Scrutare il mondo da quassù è un privilegio riservato ai clienti delle 312 suite del Ritz Carlton Hotel di Hong Kong, che con i suoi 490 metri è l’albergo più alto del mondo, affacciato sulla baia dell’ex protettorato britannico.
L’albergo occupa i sedici piani più alti (dal 102° al 118°) del grattacielo che ospita l’International Commerce Center, la cui struttura si alza dalla penisola di Kowloon e guarda il cuore pulsante dell’economia asiatica, uno skyline costantemente illuminato da migliaia di luci. Più in giù, con una decina di piani a testa, trovano posto gli uffici della Morgan Stanley, Credit Suisse e Deutsche Bank, e ancora più giù un centro commerciale.
Eppure non è il grattacielo in sé, a collezionare primati mondiali: l’edificio che ospita il Ritz Carlton Hotel è oggi “soltanto” l’ottavo più alto del mondo, in una graduatoria guidata dagli inarrivabili 828 metri del Burj Khalifa di Dubai. A finire nel Guinness dei primati è l’albergo 5 stelle da 6000 dollari locali a notte (circa 550 euro), visto che i record planetari sono tutti nel settore ricettivo e del luxury, appannaggio del Ritz Carlton. L’hotel più alto del mondo vanta infatti anche il primato mondiale come struttura ricettiva con la piscina e soprattutto il bar alla maggiore altezza dal suolo: si tratta dell’Ozone Bar – che si gioca il primato con l’At.mosphere di Dubai – un esperimento audace di design, col soffitto a nido d’ape che ricorda le geometrie di un alveare. Anche se forse lo strato d’ozono nell’atmosfera è ancora lontano, la vista dalla terrazza è mozzafiato e l’unico neo che distrae dall’ebbrezza di gustarsi un cocktail a quell’altezza è proprio la consapevolezza che qualche raffica di vento può farti oscillare il drink nel bicchiere.
La vera esperienza sta comunque nell’arrivarci, lassù in cima: se è vero che una volta messo piede nei centri commercianti di Hong Kong non è affatto facile capire se ci si trovi sopra o sotto il livello del mare – il mar Cinese meridionale, per la precisione – tutto cambia una volta entrati nell’ascensore giusto. Quello che dal piano terreno porta alla lobby del Ritz Carlton hotel impiega quasi un minuto a raggiungere la reception al 103° piano, e spesso è necessario depressurizzare soffiando col naso tappato per compensare la variazione di altezza.
Un “passaggio” che ospiti internazionali e clientela locale affrontano anche per andare a mangiare al Tosca, un tocco di italianità tra le nuvole asiatiche. Da questa cucina al 102° dell’hotel più alto del mondo stanno nascendo le linee guida per tutti gli altri ristoranti dei 90 Ritz Carlton hotel sparsi nel pianeta: anche se non ha proprio l’aria di essere un laboratorio, così puntuale nei suoi meccanismi di sala e di cucina, per il Tosca essere il “flag restaurant” di una delle catene alberghiere top a livello mondiale significa anche dover dettare le tendenze. Ne è ben consapevole lo chef Pino Lavarra, 45 anni, pugliese di nascita e giramondo per professione, dalla costiera amalfitana alla baia di Hong Kong. Il suo obiettivo è affiancare alla tradizionale cucina italiana la componente estetica, che talvolta le nostre cucine tendono a prendere sottogamba, trasformandola in una cucina di design che non tralasci il gusto.
“L’Italia è ancora preda di stereotipi e cliché – racconta Pino – ma negli ultimi 15 anni ha riscoperto il valore aggiunto di un buon impiattamento, che è espressione di passione personale. Vogliamo mettere nel piatto l’Italia migliore lavorando non solo sulla valorizzazione delle materie prime, ma anche su quell’estetica che il nostro Paese esprime benissimo in altri settori, dall’abbigliamento al design, con geometrie, architetture e cromaticità, giochi di consistenze e temperature diverse. Ma tra le armonie e i contrasti scelgo le prime: il tempo delle dissonanze è passato”.