Una cucina di testa, di cuore e di sorriso, per lo chef albanese Ardit Curri, che al San Martino 26 a San Gimignano inanella una serie di piatti riuscitissimi all’insegna dell’equilibrio e della rotondità dei sapori
Lascia sempre un po’ sorpresi, la concentrazione di ristoranti di qualità che si registra nella provincia senese, soprattutto nella zona che ha come fulcro San Gimignano: pensiamo ai pochi passi – circa venticinque – che separano il CumQuibus di Alberto Sparacino e il San Martino 26, nella cittadina delle torri. Quest’ultimo è il feudo di Ardit Curri, chef albanese (di cui avevamo parlato qui) dal tocco creativo e ben incline alla sperimentazione.
Seguendo una moda ormai diffusa nel fine dining, il menù del San Martino 26 mantiene la divisione in partite ma si limita a “suggerire” il piatto indicandone gli ingredienti. La tecnica di preparazione e le modalità di cottura sono quindi un autentico atto di fiducia nei confronti dello chef Ardit Curri. Ecco dunque antipasti telegrafici come melanzana/miso/yogurt/semi o secondi come faraona/limone/capperi/spinaci/mirtilli.
La carta del San Martino 26 celebra la materia prima locale ma concede ampia ribalta a ingredienti esotici o inusuali (yuzu, ponzu, miso, aghi di pino, alga, umeboshi) e al frequente abbraccio tra carni e frutta (faraona e mirtilli, chianina e albicocca o susina, piccione e ciliegia). Materie che assemblano un menù lungo (sei antipasti e altrettanti primi, ben nove secondi) e tre menù degustazione da 4, 5 e 7 portate (a 55, 65 e 80 euro).
Quella di Ardit Curri è una cucina “alta” di territorio, alla costante (e fruttuosa) ricerca di equilibrio e rotondità. Lo sperimentiamo subito, quando dopo un’amuse bouche all’insegna della dicotomia tra crumble e formaggi – incluso lo yogurt albanese – si parte con una vellutata di zucca con crumble di camomilla e gelato ai semi di zucca. Difficile immaginare un inizio migliore: un piatto spaziale, che gioca sull’ottimo equilibrio tra caldo e freddo, dolcezza e sapidità, consistenza e cremosità. Un velluto in bocca, un antipasto che da solo vale il viaggio a San Gimignano.
A seguire, il taco di mais fermentato con scampo, salsa cocktail, ostrica, tuorlo e aghi di pino colpisce alla vista e al naso, prima ancora che in bocca (dove lascia un persistente aroma marino), grazie alla scelta di Ardit Curri di un impiattamento bucolico e volutamente instagrammabile che rappresenta un valore aggiunto.
Se prima era l’impiattamento adesso è invece la tecnica, a colpire il commensale del San Martino 26. Gli spaghetti “stabilizzati” AOP (aglio, olio, peperoncino) con sfere di scampi, colatura d’alici e burro restano al dente ma con una consistenza del tutto particolare: messi prima in forno e poi in acqua – seguendo il modo in cui Ardit ha visto fare in casa, a Tirana – gli spaghetti diventano una spugna che assorbe la parte idrica. Il piatto dà il meglio di sé quando la parte più strong della colatura d’alici incontro la dolcezza delle sfere di scampi. Equilibrio, ancora una volta.
Il risotto con erbette, scamorza, carpaccio di chianina e jus al timo è un piatto di testa e di cuore, di tecnica e di intuizione, in bilico tra la piacevolezza dell’affumicato e la dolcezza di ogni boccone. Un primo che ti prende per mano e ti guida nel labirinto dei ricordi alla ricerca di suggestioni casalinghe da Piccolo mondo antico come il formaggio che fonde.
La scorribanda gastronomica al San Martino 26 prosegue con il filetto di cervo, un secondo semplice che suona come un omaggio al territorio. Piatto delicato solo in apparenza, perché la dolcezza naturale della carne viene contrastata in bocca dalla salsa olandese e dalla riduzione al Vinsanto.
Coscia e petto, ciliegia e ravanelli. Il piccione di Ardit Curri è il piatto che sublima la già citata vocazione a celebrare il rapporto tra carni e frutta, tra dolcezza e sapidità che segna la cifra distintiva dello chef. L’ennesimo bilanciamento della serata, si traduce in un’esplosione di sapore – nonostante il piccione sia carne delicata – e mai stucchevole.
In conclusione, al San Martino 26 ammirevole è non solo la mano di Ardit Curri ma anche il sincero entusiasmo che lo chef mette in ogni piatto e il sorriso con cui “coccola” la sala. Se San Gimignano attraversa un periodo d’oro (ripensiamo a cos’era, dal punto di vista gastronomico, non più tardi di una dozzina d’anni fa…) il merito è anche suo. E anche le guide di settore stanno cominciando ad accorgersene.