venerdì 19 Aprile 2024
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Il racconto: ho passato un’intera serata nel backstage di un ristorante stellato

Si lavora in piedi per ore e non c’è un attimo di pausa, ma nemmeno lo stress descritto in qualche film. Cucina e sala sono macchine che funzionano come orologi, dove nulla è lasciato al caso. Ho passato un’intera serata nel backstage di un ristorante stellato, la Leggenda dei Frati di Filippo Saporito, ed ecco il racconto di quest’esperienza

backstage ristorante stellato

Abituati ai film che raccontano il dietro le quinte della cucina, era lecito aspettarsi un ambiente di forte tensione nervosa e un microcosmo in cui ogni individuo compone un meccanismo che funziona come un orologio. Beh, dopo aver passato un’intera serata in un ristorante stellato, la Leggenda dei Frati di Firenze, feudo di Filippo Saporito e Ombretta Giovannini, posso confermare alcune cose e smentirne altre. In primis, è vero che non c’è un attimo di pausa e che si resta in piedi per ore, da prima dell’inizio del servizio fino a quando l’ultimo cliente ha varcato la porta. Non abbiamo trovato invece lo stress narrato in alcune pièce cinematografiche o televisive – niente piatti che volano, gente che urla, ecc… – ma un insieme di persone che si muovono all’unisono con i tempi dettati dallo chef.

backstage di un ristorante stellato

Sempre in piedi, però. Che la si voglia paragonare a una compagnia teatrale che ogni sera mette in scena un canovaccio fatto di ritualità, o che si preferisca assimilarla a un’orchestra che suona all’unisono lo stesso spartito, c’è un aspetto che accomuna ogni modo di vedere il backstage di un ristorante stellato: tutto avviene sempre, rigorosamente, in piedi. Se questa è la prima cosa che abbiamo imparato alla Leggenda dei Frati, in realtà sono moltissimi i piccoli e grandi riti che chef, brigata e camerieri portano in scena. Pardon, in tavola.

Come spesso accade, tutto nasce per gioco: curioso di vedere il backstage di un ristorante d’alta qualità, ho trovato in Filippo Saporito l’interlocutore adatto. Eccomi dunque bussare alla porta della Leggenda dei Frati alle 18 di un venerdì sera (mica un infrasettimanale qualsiasi…) di metà autunno. Il primo impatto con la brigata è a cena: si svolge tutti insieme, personale di sala e di cucina attorno a un grande tavolo a consumare hamburger, faraona e qualche salsiccia di cinta senese. Il clima è sereno, e pochi guardano con curiosità l’intruso che per una sera li osserverà all’opera. Poche regole: no alcool, sì caffè. Ma soprattutto spazio a un enorme barattolo da 3 kg di Nutella (qui) con la data di apertura scritta sul coperchio.

Finita la cena, ci si va a vestire: il personale di sala e di cucina si lava i denti e indossa le divise. Poi tocca ai briefing, quello di sala e quello di cucina. Il primo è affidato a Jenson Nilappana Joseph, il direttore, che illustra ai camerieri il numero di tavoli prenotati, gli orari d’arrivo degli ospiti e così via. Tenendo nota non solo delle eventuali richieste dei commensali ma avendo in archivio anche ciò che l’ospite ha assaggiato la volta precedente, il ristorante riesce a calzare in modo quasi sartoriale l’esperienza gastronomica. Il secondo briefing tocca allo chef Erez Ohayon, che spiega ogni singola variazione dei piatti che verranno serviti da lì a poco, dilungandosi sia sugli ingredienti che sulla preparazione di tutto il menù per anticipare eventuali curiosità da parte dei commensali. Poi viene interpellato il sommelier Francesco Moradei sui vini da proporre in abbinamento, se farli scegliere agli ospiti o meno. Infine si commentano i servizi precedenti, evidenziando punti di forza e di debolezza. Insomma, tra chi si occupa di pane o di pane, nulla è casuale.

Nel frattempo lo chef Filippo Saporito mi racconta un’innovazione abbastanza recente: per eliminare il problema dei no-show, che in soli due mesi aveva fatto perdere circa 3-4000 euro al ristorante, è stato varato un sistema computerizzato che obbliga chi vuol prenotare – ed è la stragrande maggioranza degli ospiti – a lasciare la carta di credito, autorizzando il prelievo di 100 euro per ogni persona che alla fine non si presenta. Un deterrente che funziona, dal momento che in un mese e mezzo sono stati recuperati circa 1500 euro.

Tutto è pronto, intanto: nell’aria viene spruzzato del deodorante, poi intorno alle 20,30 gli ospiti arrivano e vengono messi a sedere. I camerieri vengono assegnati ai tavoli in base al numero di commensali, alla conoscenza della lingua dei commensali e alla loro nazionalità. È un sottile gioco psicologico, per il cameriere e il sommelier, capire quanto può raccontare in maniera più o meno approfondita un piatto o un vino basandosi solo sull’impressione di chi ha di fronte: rischiare di dilungarsi in dettagli tecnici su cotture o terroir con chi palesemente non è interessato, ad esempio, è da evitare. Il protocollo è chiaro: prima viene servita l’acqua, poi un eventuale aperitivo, infine cartamusica e grissini. Per prevenire eventuali amnesie, in un angolo cieco sono elencati i piatti del menù con il tipo di posate da portare prima di servirlo, mentre la comanda viene trascritta su un prestampato che agevolerà il lavoro al momento del conto.

In cucina, tutto procede tranquillo: tra menù degustazione e carta, le preferenze degli ospiti convergono sui piatti forti della Leggenda dei Frati: il “primo sale” come antipasto, i tortelli di cipolle di Certaldo, il petto di faraona coi finferli e il dessert “Gold” del pastry chef Gabriele Vannucci. Ed è nel gioco tra cucina e sala, che si scopre qualcosa di nuovo: con una porta basculante, chi ha la precedenza? Chi entra o chi esce? Ci risponde il maitre di sala Alessandro Ferrelli: “Precedenza a chi esce dalla cucina, perché deve consegnare un piatto caldo. Chi sta per entrare, inoltre, ha una visuale migliore rispetto a chi esce”. Inoltre, di fronte a portate differenti da servire contemporaneamente, come ricordarsi chi dei commensali ha ordinato proprio quel piatto? Semplice: ogni ospite del tavolo viene “numerato” in base alla sua posizione, procedendo in senso orario dal primo posto libero in basso a sinistra.

In un locale che riceve circa 60 curriculum a settimana la cura del dettaglio è importantissima, al punto che persino un dito di Franciacorta in più servito agli ospiti potrebbe alterare l’armonia e l’equilibrio della degustazione. Al muro della cucina leggiamo una nota relativa a una cena futura: è una cliente, che segnala allo staff le sue 26 allergie (inclusi i mirtilli americani, ma non quelli di giardino). L’attenzione è presa da Vannucci che dà consigli di “taglio del pane” alla stagista di patisserie Mara Tessarollo, ricordandole che per un taglio dritto sono importanti la posizione dei piedi, del polso e della testa. Filippo Saporito sovrintende la brigata, ma quando qualcuno dimentica un “per favore” è pronto a rimettere nei ranghi la truppa.

La cucina continua a lavorare sfornando piatti con regolarità: l’ordine ai fornelli regna anche quando si tratta di agire come una catena di montaggio, arrivando a impiattare fino a 12 piatti uguali. Una parte degli ingredienti è ovviamente cucinata sul momento, altri – come i fondi bruni, ne abbiamo contati tre differenti – sono il frutto di preparazioni precedenti.

A fine servizio, via via tutti lasciano la postazione – a partire dai capipartita degli antipasti (Irene Battini), dei primi (Tommaso Querini) e dei secondi (Dario Messina) non prima di averla ripulita per l’indomani. Poi tocca ai camerieri Dalma Velo, Lorenzo Pirello e Camilla Castiglioni, alla stagista giapponese Akari Shinohara e all’italiano Vincenzo Sansone, così come al lavapiatti Kumar Satish. Tutti “ingranaggi” di un orologio, tutti attori pronti a ricominciare, il giorno dopo.

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