venerdì 26 Aprile 2024
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Soffritto e dolceforte: a confronto gli stili di Paolo Gori e Remo Maestrini

Tra i cooking show in seno alla Fiera del Cioccolato abbiamo assistito ad almeno due versioni della preparazione della carne in dolceforte, quella di Paolo Gori (Burde) e di Remo Maestrini (La Vecchia Locanda). E abbiamo scoperto che gli stili cambiano persino nel modo di fare il soffritto…

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Il bello dei cooking show è che alla fine impari sempre qualcosa di nuovo e di inatteso. Sta accadendo quotidianamente, nel corso delle performance degli chef toscani a “Chef Chocolatier”, la rassegna in seno alla 12° Fiera del Cioccolato in piazza Santa Maria Novella. Tra i cooking show abbiamo assistito ad almeno due versioni della preparazione della carne in dolceforte, quella di Paolo Gori (ristorante Da Burde, a Firenze) e di Remo Maestrini (ristorante La Vecchia Locanda, a Scarlino). E abbiamo scoperto che gli stili cambiano persino nel modo di fare il soffritto, dando vita a infinite varianti della stessa portata…

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Abbiamo così pensato di mettere a confronto due stili diversi di cucina, due modi di rifarsi a una tradizione, quella del dolceforte, antica e fascinosa. Di probabile origine rinascimentale, epoca in cui nei banchetti si abbinava il gusto dolce a quello salato, il “dolceforte” – più che una ricetta – era da considerarsi una salsa d’accompagnamento, unita a metà cottura ad animali come lepre o cinghiale preparati in umido. Questa salsa veniva preparata con panforte e cavallucci tritati, cioccolata fuso nel burro, uvetta sultanina, pinoli e noci spezzettati, il tutto innaffiato con aceto e fatto cuocere, prima di essere unito alla carne. Per chi amava particolarmente i contrasti, la salsa era aggiunta solo a cottura ultimata, per mantenere più integri e decisi i sapori dolci.
Prima dell’arrivo dalle Americhe della cioccolata, il dolceforte prevedeva al suo posto il miele.

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A confrontarsi, seppur indirettamente, sono due chef per molti versi lontani – in primis geograficamente – ma accomunati dalla passione per il recupero e la valorizzazione delle preparazioni tradizionali: da un lato Paolo Gori, reduce da un anno che lo ha visto passare da Expo2015 agli schermi di Gusto (Tg5) fino alla partnership con Eataly Firenze; dall’altro Remo Maestrini, anch’egli transitato da Expo2015 con le ricette col latte d’asina e recentemente apparso su Italia7 ad Aspettando il Tg con Annamaria Tossani.

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Torniamo a bomba e partiamo dal soffritto, dove nemmeno l’elenco degli ingredienti è scontato. Se sedano e carota sono imprescindibili per entrambi, già sul tipo di cipolla le versioni differiscono: per Paolo Gori è meglio quella rossa, per Remo Maestrini quella bianca. E veniamo ai tempi: se quest’ultimo getta in pentola tutto insieme, secondo lo chef di Burde c’è invece un preciso ordine da seguire nel mettere gli ingredienti in pentola, partendo dalla cipolla e solo in un secondo momento aggiungendo carota e sedano.

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C’è un motivo, che è poi riconducibile a un’altra differenza tra i due dolceforti: Paolo Gori preferisce un taglio grossolano, in modo da continuare ad avere in padella gli elementi del soffritto ben visibili e riconoscibili, anche per una questione cromatica, mentre Remo Maestrini preferisce un taglio molto più fine, fin quasi a raggiungere la consistenza di una crema.

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Veniamo poi al dolceforte vero e proprio: a Firenze, Paolo Gori ha presentato la lingua, secondo una volontà di riproporre sapori e consistenze sempre meno facili da apprezzare nelle generazioni più giovani, mentre Remo Maestrini – in omaggio alla sua provenienza maremmana – ha optato per il cinghiale, tra parti nobili e meno nobili. Anche qui tra i due chef abbiamo visto analogie – la tostatura dei pinoli, ad esempio – e differenze, come la scelta di Paolo di inserire nel piatto cedri e arance canditi a fronte della decisione di Remo di caramellare sul momento la buccia d’arancia estratta con un rigalimoni o levafili. Oppure l’uvetta: Paolo preferisce tenerla un po’ a bagno nell’acqua prima di inserirla in casseruola, mentre Remo la inserisce direttamente, ammettendo al limite una breve marinatura nell’aceto.

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In definitiva, il risultato sono due versione della carne in dolceforte abbastanza differenti. Ma il mondo è bello proprio perché vario, come hanno potuto verificare gli spettatori presenti a entrambi gli appuntamenti di “Chef Chocolatier”.

 

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