Quando l’ho visto, in cima a uno scaffale di distillati, mi ha subito colpito. “Possibile – mi sono detto – che non se ne sia accorto nessuno? In pochi giorni saranno passate centinaia di persone, di cui molte con una competenza sufficiente ad accorgersene”. Invece era proprio così: ad Eataly, il colosso della gastronomia aperto a Firenze, il whisky diventa wisky. Il titolo del cartellone parla di una selezione dei migliori distillati, e passa ad elencarli: dopo amari, limoncello, mirto, porto e rum ecco il wisky. Tralasciando il piccolissimo particolare che limoncello, mirto e porto non sono distillati, in genere – da un punto di vista ortografico – chi “cade” su questa parola lo fa sulla E, ma non certo sulla H.
Come ci ricorda Wikipedia, infatti, la parola whisky (al plurale whiskies) è generalmente usata per indicare quelli distillati in Scozia e in Canada, mentre con la parola whiskey (al plurale whiskeys) si indicano generalmente quelli distillati in Irlanda e negli Stati Uniti. Il whisky canadese è anche chiamato”rye”. Accordi internazionali riservano l’utilizzo del termine Scotch whisky solo a quelli prodotti in Scozia, obbligando i produttori di altre regioni che utilizzano lo stesso stile di produzione a utilizzare nomi differenti. Analoghe convenzioni sono utilizzate nei confronti di Irish whiskey e Canadian whisky. In quanto all’origine del termine, la parola whisky (o whiskey) è un’anglicizzazione del termine gaelico irlandese uisce o gaelico scozzese uisge che significa acqua. Le prime forme della parola in inglese si riscontrano come uskebeaghe (1581), oppure usquebaugh (1610), usquebath (1621) e usquebae (1715). E adesso, grazie a Eataly, anche wisky.