venerdì 26 Aprile 2024
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La truffle experience Savini: il bosco, il cane, la pazienza, la scoperta, il gusto

Per chi conosce il tartufo solo sotto forma di scaglie sul tagliolino o come crema nei panini gourmet, partecipare alla truffle experience Savini è il modo migliore di imparare qualcosa di più su questo affascinante fungo ipogeo

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Bianco o nero, molti di noi sono abituati a vedere il tartufo sostanzialmente in due versioni: a scaglie, grattato sul tagliolino o sull’uovo  a occhio di bue, oppure sotto forma di creme e miele aromatizzato per condire rispettivamente panini gourmet o dolci. Eppure il mondo intorno al tartufo è molto altro, a partire dalla ricerca: è un’esperienza – anzi, una truffle experience – che travalica i confini del mero approvvigionamento della materia prima.

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Anche se ogni angolatura riflette piaceri inattesi e aspetti diversi, la caccia al tartufo così come sperimentata nella Truffle Experience Savinil’azienda leader del settore in Toscana, rivela un universo fatto essenzialmente di contrasti: ci sono la pace e il silenzio delle passeggiate nei boschi e c’è la frenesia della raccolta quando il cane inizia a scavare; c’è il ruolo del cane che compie il 90% del lavoro e quello dell’uomo che nel residuo 10% può fare la differenza tra una giornata da ricordare e una da dimenticare; c’è il gioco della ricerca (almeno per il cane…) ricompensata con un biscottino e c’è la guerra tra tartufai alla ricerca del posto e del momento migliore.

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In mezzo a tutto ciò, c’è un mondo che gira tra aneddoti, segreti, tradizioni e sapori. Nel caso della famiglia Savini c’è anche il gusto di poter raccontare l’incontro con il tartufo più grande del mondo. Sentirsi raccontare da Cristiano Savini la storia del suo ritrovamento, del clamore mediatico che ne è seguito, del viaggio a Hong Honk e dell’asta internazionale vale da sé il prezzo del biglietto. Così come si viene proiettati in un piccolo mondo antico, quando Cristiano racconta – probabilmente per la decimillesima volta, ma sempre con l’entusiasmo negli occhi – del nonno Zelindo e dell’intuizione che oltre 70 anni fa dette il via a una storia aziendale di successo.

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La storia di come negli anni Sessanta il guardiacaccia nella tenuta Villa Saletta a Forcoli (Pisa) sia diventato procacciatore di tartufi prima tra le collina di Pisa, Siena e Firenze e infine – grazie alla prossimità con Pontedera e i collegamenti ferroviari con l’alta Italia – nel resto del Paese è una narrazione che merita di essere ascoltata davanti alla Vespa di Zelindo Savini e al vanghetto, che negli anni è passato quasi da motivo di scherno rispetto al fucile dei cacciatori al simbolo di un’attività remunerativa e gratificante. Ascoltare come il fondatore dell’azienda abbia preferito dare le dimissioni dal suo lavoro in tenuta piuttosto che rinunciare a una moto BSA 1000 di grossa cilindrata, come richiesto dal padrone messo in imbarazzo, dà la cifra di una tempra imprenditoriale oggi rara.

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Da allora tanta acqua è passata sotto i ponti: mentre un tempo i tartufi sotto i 50 grammi (una palla da tennis, per intendersi) venivano dati in pasto ai maiali o gettati via, oggi anche 5 grammi finiscono sul mercato. Una volta a caccia si andava con i maiali, oggi ci si affida al naso di cani che, allevati sin da piccoli magari con il tartufo strofinato sulle mammelle della mamma, valgono quanto una fuoriserie. A nonno Zelindo si affianca babbo Luciano e poi, negli anni, Cristiano e i suoi fratelli Romina e Carlo, prematuramente scomparso. In azienda si inizia ad affiancare la lavorazione alla raccolta, fino a costruire un piccolo impero del tartufo che ogni anno si allarga: dai condimenti al miele, dalle patatine alle peschiole, dal gin alle alici di Trapani fino al gelato DaiDai. Dopo il ritrovamento del tartufo da Guinness nel 2007, oggi Savini Tartufi, clienti in 40 Paesi al mondo, dall’America all’Australia, passando per Giappone, Cina, Olanda e così via.

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Ma torniamo alla Truffle experience Savini, che inizia con la scelta di una porzione di bosco e il viaggio in compagnia di Luca e dei cani Birba e Giotto jr, figlio del cane su cui l’intera famiglia di tartufai ha costruito la sua fortuna. Non entrerò nei dettagli perché un tartufaio non ama rivelare i propri segreti – ognuno di essi ha un quaderno con gli appunti sulle zone più ricche che viene tramandato di padre in figlio – ma basti sapere alcuni particolari per capire la ritualità che gira intorno al prodotto: ad esempio, la segretezza è tale che se un tartufaio ne dovesse scorgere un altro a poca distanza, per non farsi notare si nasconderebbe acquattato nel bosco e aspetterebbe che il rivale sparisse.

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Inoltre, dopo aver cavato un tartufo è buona prassi che il tartufaio risistemi il terreno come l’ha trovato, sia per evitare di mostrare ad altri dove è già passato, sia per fare in modo che l’habitat non si danneggi e che l’ecosistema sia pronto a generare un nuovo tartufo. Il resto sono dettagli e particolari accumulati in anni di pratica: il tipo di corsa del cane, il tipico scodinzolio da non confondersi con altri tipi di segnali, le battute che non durano più di due ore, il rapporto tra uomo e cane e tra uomo e bosco.

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La truffle experience Savini non finisce col ritorno in azienda, ma può continuare con la cucina e/o l’assaggio di ciò che è stato trovato nella battuta con Luca, Birba e Giotto jr. I prezzi dell’esperienza spaziano dai 70 ai 150 euro a persona, ma li valgono tutti. A tavola, a poca distanza dal piccolo museo allestito in azienda, arrivano i salumi e i formaggi aromatizzati al tartufo, seguiti dall’immancabile tagliolino e dall’uovo all’occhio di bue. Perché la truffle experience ti coinvolge tutti i sensi, oltre a proporre un rapporto con la natura che oggi è merce – come i tartufi – sempre più rara.

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Ed eccolo, infine, il momento in cui Giotto jr fa onore al nome di suo padre e trova una pepita da 30 grammi:

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